Il 19 luglio 1992 la strage mafiosa di via D’Amelio, in cui furono uccisi il magistrato Paolo Borsellino e i cinque agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo.

Vincenzo Musacchio, direttore della Scuola di Legalità ‘don Peppe Diana’ attiva in Molise e a Roma, ricorda quel giorno e dice: 24 anni dopo è giusto pretendere la verità

Sono nato, vivo e lavoro lontano dalla Sicilia ma mi sento profondamente e intimamente siciliano e come molti di loro credo che il giorno in cui la mafia sarà vinta sia ancora lontano.

Scrutando nei miei ricordi, tuttavia, mi ritornano in mente proprio le parole di Paolo Borsellino che, invece, nel suo incantevole ottimismo sosteneva con convinzione che “Cosa nostra” fosse destinata ad una inesorabile sconfitta. Allora mi convinco che discutere di mafia, anzi, il solo fatto di nominarla, costituisca il primo ineludibile strumento per combatterla e provare a sconfiggerla: questa era la grande convinzione di Borsellino. Con la nostra Scuola di Legalità da anni ci impegniamo affinché questa sua idea si possa un giorno realizzare. A tal proposito non dobbiamo mai dimenticare che siamo noi cittadini ad avere in mano l’arma vincente, perché l’assordante silenzio sul fenomeno mafioso nei programmi elettorali e di governo mi induce a ritenere che si stia facendo un passo indietro rispetto alle previsioni formulate da Falcone e Borsellino. La lotta alla mafia rappresenta oggi una sterile “postilla espressiva” da inserire nei discorsi propagandistici ed il contrasto ai poteri criminali non è più inteso come massimo impegno dello Stato e della comunità nella sua interezza, ma solo come attività demandata all’esclusivo ed encomiabile coinvolgimento di poche associazioni e cittadini isolati dal resto della società e delle istituzioni.

Pur non avendolo mai potuto conoscere personalmente (ebbi solo la fortuna di potergli stringere la mano), di lui mi parlava Antonino Caponnetto soffermandosi spesso su una delle caratteristiche del suo essere: la bontà d’animo. Lui definiva il “suo” Paolo (Caponnetto considerava Falcone e Borsellino suoi figli) un puro d’animo, un uomo di ammirevole onestà e di grande integrità morale, una persona che viveva una vita semplice e trasparente e che si schierava subito a fianco di chi aveva subito un’ingiustizia. Rita Atria, testimone di giustizia, che tutti chiamavano la “picciridda” di Paolo Borsellino, prima di togliersi la vita ebbe a dire di lui: «Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. Tutti hanno paura ma io l’unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi. Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarci. Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi ma io senza di te sono morta».

Questo era il valore di Paolo Borsellino e con le parole di Rita mi piace ricordarlo ma, a ventiquattro anni dal suo assassinio, pretenderei semplicemente un po’ di giustizia e di verità sui veri mandanti di quella ignobile strage. 

Vincenzo Musacchio

Un Commento

  1. Donatella Autieri scrive:

    Lo si insegni nelle scuole, si parli di legalità, si insegni alla gente che essere onesti ed avere il coraggio di denunciare, anche nelle piccole cose, aiuta a creare un mondo migliore.

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