migranti pozzilli foto gruppo

La prima cosa che colpisce, varcando il cancello di villa Michela, sono i sorrisi e l’allegria. I dodici migranti africani ospitati nella struttura di Pozzilli all’ingresso del paese comunicano proprio questo: la felicità – seppur relativa – di essere al sicuro, di essere stati accolti e in un certo senso salvati. La loro storia è comunque scolpita nei loro cuori, nei loro volti. Ma dopo mille peripezie (che appare inutile ribadire…), mesi di viaggi, di paura e di traversate in mare, ce l’hanno fatta. Sono orgogliosi di essere giunti in Europa. Il loro sogno. La particolarità, rispetto alle tante storie viste ed ascoltate sui mass media nazionale, è che Isaac, Kairaba, Harouna, Oumar, Issouf, Mohamed, Emos, Mady, Mohammed, Souleymane, Omar e Said Ahmed vogliono restare in Italia. Ottenere i documenti e poi lavorare per realizzare i loro sogni qui da noi. Nessuno sembra voglia andare via.
Quando andiamo a trovarli, ‘sorprendiamo’ gli immigrati alle prese con una lezione su come andare in bici. La famiglia Fascia titolare dell’associazione Chrimar è pressoché sempre presente. Se non ci sono loro, se non c’è la ‘mamà’ come chiamano la signora Michela, c’è comunque Resi, la operatrice sociosanitaria che li assiste in tutto e per tutto. Così come assistenti sociali ed altre figure. Quando li incontriamo, si rifiutano di parlare in francese o (alcuni di loro sono plurilingue!) l’inglese: “Vogliamo imparare l’italiano”, ci dicono. E si sforzano, tra mille difficoltà di parlarlo, in segno di volontà di integrarsi. Come previsto dal progetto di accoglienza, non se ne stanno con le mani in mano. Almeno loro non vogliono sentirsi “inutili”. Infatti, da qualche giorno hanno avviato un orto biologico con il signore Pasquale che insegna cosa piantare, quando e come innaffiare. Loro seguono con attenzione e poi procedono. Così come sono ansiosi di imparare ad andare in bici, giocare a ping pong, a calcio. In particolare, la loro passione è il calcio. Spesso escono e si recano sul campo comunale ed insieme ai pozzillesi si sfidano inseguendo un pallone. Le loro sono storie di chi ce l’ha fatta. Molti invece muoiono durante il viaggio verso il sogno europeo. Scappano da guerre, miseria e persecuzioni. Vengono da Niger, Sudan, Costa D’Avorio, Mali, Somalia, Burkina Faso. Tutti con l’obiettivo di farsi (rifarsi) una vita degna di questo nome.
A Pozzilli ci sono solo uomini, dal più piccolo Omar, 19enne e sempre allegro (specialmente quando è alle prese con l’orto), al 47enne Kairaba, l’anziano del gruppo. C’è chi non fa altro che studiare dalla mattina alla sera. Come Isaac, laureato in Marketing. Ad Emos piace cucinare e si diletta tra i fornelli per tutto il gruppo. Poi c’è Mady, ansioso di ricevere la foto della mamma che ancora non arriva (ah le Poste!). Quindi Souleymane, autista di camion. L’unico che ha lasciato figli in Africa è Harouna, soprannominato “vabene vabene” perché ad ogni ‘insegnamento’ lui prontamente fa cenno di aver capito rispondendo “va bene, va bene” nel suo stentato italiano.
Impossibile poi raccontare tutti gli aneddoti. A titolo esemplificativo, per comprendere il senso del loro viaggio, si potrebbe riferire della telefonata di Isaac al padre. Gli occhi di tutti si fanno lucidi quando racconta di aver telefonato al padre per dirgli “Sono vivo. Sono arrivato in Italia e una famiglia mi ha accolto”. La ‘famiglia’ era quella dei Fascia, con cui il papà di Isaac ha voluto parlare per dirgli: “Dio vi benedica”. E giù lacrime… Sono così felici che nel giardino hanno scritto “God is good”, a dire “Dio è buono”. Alla loro ‘mamà’ di adozione un paio di loro, poi, hanno comunicato la volontà di seguire la messa. Così ogni domenica mattina, a piedi, vanno da villa Michela al convento di San Nicandro. Forse pregano che per il loro il futuro possa essere più roseo e giusto.
Siamo entrati nella struttura, soprattutto per verificare come vivessero, come si trovassero. Tutti e dodici i migranti, raccolti nel ‘soggiorno’ davanti alla tv – che seguono per gran parte della giornata per imparare l’italiano – ci hanno detto: “Ci troviamo bene, vogliamo restare in Italia per lavorare e costruire la nostra vita”. Una cosa (non la sola in realtà) ci ha poi ‘colpito’. Benché le pulizie siano assicurate dall’associazione, tutti a turno danno una mano, tanto è vero che durante la nostra visita becchiamo uno di loro alle prese con secchio e straccio. Non si lamentano dell’accoglienza ‘esterna’ alla villa. “Noi diciamo bonjour a tutti, qualcuno risponde, qualcuno no ma non è un problema. Siamo contenti così”. Le cose miglioreranno. Così come miglioreranno dal punto di vista dell’infrastruttura: in questi giorni, come imposto dal medico sanitario, è in fase di ultimazione il secondo bagno a servizio della villa di oltre 200 metri quadrati. In effetti, un servizio per 12 persone non appariva idoneo. Per il resto, dormono tre persone per ogni (ampia) camera. Spazio esterno in abbondanza, un po’ minimal la cucina. Di scarpe – alcune donate, alcune acquistate di recente dalla Chrimar – ne vediamo tante. Altrettanti i vestiti. Così come non manca la crema idratante acquistata “una per ognuno” da ‘mamà’ Michela. A breve per loro arriverà anche il wifi, per poter comunicare più facilmente con i familiari in Africa. Certamente non un hotel 5 stelle, ma per una accoglienza temporanea, al di là di eventuali assenze di certificazioni (le abbiamo tutte, garantiscono dall’associazione), più che sufficiente. Al momento, l’unica cosa che preme veramente agli ospiti è avere i documenti: in questo modo potranno ad esempio frequentare i corsi di formazione per imparare un mestiere e guadagnarsi da vivere. Anche a questo sta lavorando Sara, altra colonna portante della Chrimar che si preoccupa che non manchi nulla.
In sostanza, di sicuro sull’argomento tanto andrebbe cambiato a livello nazionale. Ma l’impressione sull’accoglienza locale è stata buona (certo, si può sempre fare meglio). Qualora avessero finto nel comunicarci i loro sentimenti, allora la destinazione dei 12 migranti potrebbe benissimo essere Cinecittà o Hollywood e non Pozzilli!

 

(su Primo Piano Molise di oggi in edicola)

Un Commento

  1. stefano scrive:

    Le belle notizie non fanno “notizia”. Quando gli immigrati si rendono responsabili di qualche reato i blog sono pieni di commenti intolleranti al limite (spesso superato) del razzismo. Quando invece c’è qualche bella storia- come questa – i commenti sono zero.
    Evviva.

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