«Li amò sino alla fine». L’intensità di queste parole, «li amò sino alla fine», ci parla della fedeltà dell’amore, una fedeltà a tutta prova. Quale tesoro la fedeltà: senza, non esiste l’amore! Di fronte al tradimento, Gesù continua ad amare. Nel Getzemani, ama e si affida al Padre. Davanti all’ingiustizia e alla violenza dei suoi carnefici perdona. Nell’abbandono e nella solitudine in cui lo lasceranno i suoi Apostoli, non cesserà di cercare lo sguardo di Pietro e di amarlo. Siamo sollecitati a rinnovare la fede in questo Dio che ci ama sino alla fine, cioè oltre ogni misura pensabile. Rinnovare la fede è lasciarci amare da Lui e accogliere le esigenze del suo amore; è desiderare, con Lui e come Lui, di amare anche noi ‘sino alla fine’. Sentiamo che ciò è arduo: siamo esploratori esperti della nostra debolezza. Insieme alla bellezza, avvertiamo tutta la fatica d’amare. Ma alla luce del Vangelo, sappiamo che la fatica dell’amore è la prova più certa dell’amore.
La notte sopraggiunge. Nel cenacolo regna il silenzio gravido di mistero. I discepoli sono stretti al Maestro in attesa. Egli si muove in silenzio: si alza, depone le vesti solenni, si cinge di un asciugatoio, prende un catino e compie ciò che i loro occhi non avrebbero mai voluto vedere: s’inginocchia davanti a ciascuno e lava i piedi. Il maestro aveva parlato molte volte di umiltà e di servizio, ma quello era troppo. Tutti restano impietriti, solo Pietro si scuote e reagisce con il solito impulso: «Non mi laverai i piedi!».
Ma anche lui deve arrendersi e accettare lo scandalo di Dio che si inginocchia e lava i piedi all’uomo. Altrimenti non potrà aver parte con il Maestro, non potrà entrare nella sua dimora, non importa quale sarà: basta stare con Lui! Allora lascia che Gesù, curvo sui suoi piedi, compia quel gesto che sa di testamento.
Cristo comincia a salvarli così, uno ad uno: e in loro Gesù vede ciascuno di noi. Davanti al suo sguardo sfilano i secoli e i millenni e sorride ad ogni uomo sino alla fine del mondo. Ma non possiamo lasciar cadere quelle parole: «Non prenderai parte con me, se…». Compiuto il gesto sconcertante della lavanda dei piedi, i discepoli sono finalmente pronti ad entrare nella dimora intima e segreta del Maestro. Dagli altri evangelisti sappiamo che Gesù prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: «questo è il mio corpo». Similmente fece con il calice: «questo è il mio sangue».
Ecco dove volevi condurre i tuoi amici, in quale dimora intima e inaccessibile: volevi condurli al tuo corpo e al tuo sangue. Volevi dunque dirci che non c’è Eucaristia senza carità, come non c’è carità senza Eucaristia? L’Eucaristia e la carità sono gli aspetti del tuo volto, o Signore! Grazie, Gesù, che Ti lasci nella Santissima Eucaristia, nella tua Chiesa, nel volto di ogni uomo. Aiutaci a riconoscerti e accoglierti per poter dimorare nella luce calda della Tua intramontabile amicizia.
Monsignor Gabriele TETI

Un Commento

  1. Filippo Ungaro scrive:

    Gesù Cristo ci amò tanto, fino al punto di sacrificare la Sua vita, affinché noi, a nostra volta, diventassimo capaci di amare, in nome di quella superiore “legge dell’Amore”, che governa il mondo, poiché espressione di Colui “… che move il sol e l’altre stelle”, per dirla in termini danteschi!
    Purtroppo, l’insegnamento del Cristo “triumphans” non è inteso da noi, poiché irrimediabilmente ottenebrati dalla logica degli interessi terreni, tra i quali spiccano la smodata fame (“auri sacra fames”…) del denaro, la logica insana del profitto ad ogni costo, il “carrierismo” ad oltranza e quant’altro.
    La Santa Pasqua ci aiuti a comprendere la vera e stupenda dimensione dell’Amor Divino, soprattutto nei nostri bui tempi, fatti di odio, crudeltà, maldicenza, ipocrisia, invidia e sfrenato individualismo.
    Buona e serena S. Pasqua . Filippo Ungaro

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