Solo poche ore prima a ‘Cartabianca’ su Rai3 Antonio Di Pietro aveva scandito e quasi urlato: «Riina ancora poche settimane fa andava in dibattimento, è capace di intendere e di volere e deve stare in galera per quello che ha fatto».
Ieri mattina l’Ansa ha battuto questo lancio: «Totò Riina è collegato in videoconferenza dal carcere di Parma con il tribunale di Firenze dove poco fa si è aperta l’udienza per il processo davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Firenze per la strage del treno 904. Il boss, che segue l’udienza disteso su una barella, è imputato come mandante della strage che il 23 dicembre 1984 causò 16 morti e 260 feriti sul convoglio Napoli-Milano…».
Nel programma di Bianca Berlinguer il duello fra Di Pietro e il suo ex collega nel pool di Mani Pulite Gherardo Colombo sul caso che sta infiammando il dibattito in Italia. Su ricorso dei difensori del boss di Cosa Nostra, che sta scontando l’ergastolo a Parma in regime di 41 bis, la Cassazione ha stabilito che il Tribunale di Sorveglianza di Bologna dovrà riesaminare la richiesta di scarcerazione per motivi di salute. Dovrà rimotivare il diniego espresso con l’ordinanza impugnata, fin qui gli ermellini. Anzi, non proprio. Perché i supremi giudici hanno riaffermato alcuni principi nella massima: il diritto a una morte dignitosa e il fatto che le condizioni di salute del ‘capo dei capi’ gli impediscono di comandare ancora. In dettaglio, ferma restando l’altissima pericolosità del boss e del suo indiscusso spessore criminale, per i giudici ermellini il provvedimento non chiarisce come tale pericolosità possa e debba considerarsi “attuale” in considerazione della sopravvenuta precarietà delle condizioni di salute e del più generale stato di decadimento fisico di Riina.
Su Rai3 Colombo ha evidenziato l’aspetto dell’umanità della pena, principio cardine non solo della Costituzione ma anche dalla Carta universale dei diritti dell’uomo, e della dignità. Principi per la cui applicabilità non si può fare distinzione in base al caso concreto, ha evidenziato. Sulla pericolosità sociale effettiva, il primo match con Di Pietro. Da valutare per Colombo, come pure lo stato di salute. «Che c’azzecca», ha replicato invece Di Pietro, secondo il quale la pericolosità sociale va appurata in caso di misure cautelari e non di pene definitive.
«È tanto tempo che fai altro – la stoccata di Colombo – e magari non lo ricordi, ma l’articolo 147 del codice di procedura penale dice che è consentita l’esecuzione differita della pena quando una persona si trovi in gravi condizioni di salute. Le regole sono regole, se facciamo finta che non ci siano quando non ci piacciono…». È consentita, la replica dell’ex ministro molisano, ma «non è necessaria di fronte a un criminale di tale spessore». E poi Riina «non si è pentito, non ha chiesto perdona, non intende tornare indietro su quello che ha fatto, è una persona che merita di finire dignitosamente in un ospedale, in una struttura carceraria diversa da Parma».
Di Pietro, inoltre, non crede al fatto che non sia più pericoloso. « Fino a un anno fa è stata ripresa la sua voce che minacciava ancora. Ed allora è bene che finisca lì i suoi giorni. Una cosa è la dignità, altra cosa è rimetterlo in libertà per la dignità. Anche Provenzano è morto in carcere».
Anche nel pool discutevano così? Di Pietro: «Le posso assicurare di sì con Davigo che si metteva in mezzo e dava torto a tutti e due…».
Chi ha vinto il duello? Di Pietro: 64% contro il 36 di consenso per le posizioni di Colombo.

3 Commenti

  1. Umberto Vinciguerra scrive:

    Dovrebbe esserci una sfilza di commenti indignati nei confronti dell’inaccettabile proposta mossa dal buonista di turno, ed invece siamo in tre gatti. Se si fosse parlato delle unioni gay piuttosto che del salvataggio delle balene del Giappone, non si sarebbe perso tempo. Stigmatizzando questo comportamento esecrabile, dico semplicemente che il macellaio Totò Riina, colui che ha impoverito la Sicilia con la sua cultura di corruzione e di morte, deve finire i suoi giorni in un carcere di massima sicurezza, secondo il protocollo del 41 Bis. Per rispetto a Giovanni Falcone e la sua scorta, Paolo Borsellino e la sua scorta, Rocco Chinnici, il giudice Livatino, Pio La Torre, il generale Dalla Chiesa e sua moglie, Boris Giuliano, Don Pino Puglisi e tutti coloro che non hanno accettato i soprusi della mafia, ma anzi hanno lottato perché il mondo fosse liberato da questa piaga. In onore anche a tutti coloro che continuano a combatterla nella trincea delle procure, degli uffici di polizia, delle aziende, delle scuole, delle parrocchie.

  2. emanuela scrive:

    Concordo perfettamente con Adele. Qui non si tratta di un ladro di mele anche la dignità deve essere meritata. Quale senso di umanità ha dimostrato la vita del condannato? La certezza della pena deve essere il farò a cui tendere

  3. Adele Ubaldoni scrive:

    Deve marcire in carcere: dopo tutto quello che ha fatto, sarebbe il minimo. Basta con tutto questo ipocrita buonismo, con questo incomprensibile imbarazzo dinanzi ai temi della legge, del suo rispetto, della certezza della pena. Veramente basta!!!

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