Nuovo intervento del Comitato No Tunnel dopo la recente mitragliata di interventi a sostegno del piano di riqualificazione del centro storico. «Pur ritenendo stucchevole l’abitudine a polemizzare all’infinito sullo stesso argomento, non si può fare a meno di spendere qualche parola sul contenuto dei numerosi comunicati apparsi recentemente sui media in merito al tunnel. Si scrive ormai di tutto, abbandonando qualunque senso del ridicolo e qualsiasi aderenza alla verità: dai paragoni con Parigi all’opzione zero nel “dibattito pubblico”, per finire con la “necessità” di contemperare “conservazione e modernità”. Denominatore comune di ogni intervento è naturalmente la delegittimazione dei cittadini che osano contrastare la volontà dell’amministrazione di turno: guai, dunque, a chi si permette di rivendicare il suo ruolo, riconosciuto dalla Costituzione, di portatore di diritti in quanto comproprietario dei beni comuni che sistematicamente si tenta di svendere e distruggere. Diventa automaticamente un oscurantista, un ottuso negatore delle magnifiche sorti e progressive della sua città, un opportunista che vuole crearsi vantaggi elettorali, un presuntuoso incapace che pretende di capire argomenti riservati a menti illuminate… e via dicendo. Ma veniamo a ciò che è stato scritto: secondo uno dei comunicati il tunnel sarebbe già stato approvato dai termolesi (quindi niente referendum) perché nessuno, durante il grandioso “dibattito pubblico” (continuiamo a virgolettare i termini perché ciò che si è svolto a Termoli sta al vero dibattito pubblico come le ombre della lanterna cinese stanno al cinematografo), avrebbe chiesto l’opzione zero, cioè il ritiro del progetto. Peccato non venga precisato che nel pregevole depliant illustrativo fatto recapitare ai cittadini l’opzione zero non fosse neanche contemplata. Come si poteva dunque chiederla? Sorvoliamo poi per carità di patria sull’infinito elenco dei requisiti richiesti per poter parlare realmente di dibattito pubblico, e mancanti in quello in salsa termolese, che peraltro si è avuto il coraggio di andare a vendere per buono anche fuori regione… Quanto alla necessità di contemperare modernità e conservazione, qui siamo nel puro e semplice teatro dell’assurdo: definire “modernità” una orrenda cementificazione ad esclusivo beneficio di un privato, e raffrontarla con la distruzione di una zona di importanza paesaggistica non negoziabile, ribadita da una Soprintendenza e da un ufficio regionale, e con il concreto rischio di danni al patrimonio archeologico e storico del Borgo Vecchio di Termoli, ha davvero dell’incredibile. Ma il massimo del ridicolo si raggiunge quando si ipotizzano danni al turismo e alla crescita della città per la eventuale mancata realizzazione del progetto in questione, farneticando di Tour Eiffel e dei retrogradi che allora la rifiutavano. Ora, è vero forse che se Parigi avesse un tunnel si potrebbe definirla una piccola Termoli…ma per favore, un po’ di serietà: davvero vogliamo affermare che questa svendita di un pezzo pregiato di territorio ad un privato può rappresentare il volano di ogni miglioramento ed aprirci un radioso futuro di prosperità? Invece del Castello, della Cattedrale e del Borgo, dovremmo avere un mega-parcheggio sotterraneo come simbolo della città? Appare evidente che tutto questo cicaleccio da cabaret serve solo ad evitare di affrontare il nodo cruciale della storia: la negazione della democrazia costituita dal referendum non attuato, e il fastidio crescente e palese nel doversi confrontare con chi ha un altro punto di vista. D’altro canto, accettare e gestire il dissenso è sempre stato il contrassegno delle democrazie mature… Scriveva Guido Viale nel 2014 che la nostra epoca è caratterizzata da un’estensione dei conflitti, non ultimo quello ingaggiato appunto contro l’ambiente, i territori, i beni comuni, dal quale discende ovviamente i conflitti di ognuno contro tutti gli altri, migranti in primis. Ma, aggiungiamo noi, nel contempo cresce il bisogno di comunità locale, come insieme di cittadini responsabili e impegnati che vogliano condividere una visione del proprio territorio, mettendo insieme dal basso un progetto di città e politica. E cresce la richiesta di partecipazione al governo del territorio. L’edilizia contrattata e la finanza di progetto sono però la morte di questa idea di comunità. Sono la morte della democrazia, perché in loro è insita la distruzione di ogni forma di partecipazione dei cittadini. E’ indispensabile ora ripartire da questo bisogno di comunità: nella consapevolezza che presupposto utopistico (ma non irrealistico) di ogni forma di partecipazione alla vita pubblica è il considerare possibile “realizzare ciò che non è”. E che certo non può essere la vendita del bene comune territorio in nome del profitto e senza consultare i cittadini».

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