«Quando uno ha fatto il tratturo, non sa più camminare su altre strade» – scriveva Franco Ciampitti – «Camminare piano, con la mazza di ornello cui appoggiarsi quando l’erba buona di una chiazza le fa fermare… Camminare e pensare…. I cani stanno vicini con il muso proteso. Sono bestie che guardano e mostrano di capire, forse intendono davvero. Invece le pecore non sentono, non capiscono, non ubbidiscono… Mannaggia alle pecore!».
Le frasi del libro “Il Tratturo” riecheggiano nella memoria da quando nell’86 m’infilai gli scarponi e mi avviai a ritroso dall’Abruzzo al Molise per le quattro vie d’erba principali, attraversandole in buona dose, salvo lunghi tratti ormai impercorribili perché la natura – senza animali che calpestano e brucano – se ne era impossessata di nuovo; o dati in concessione ai contadini o peggio ancora, asfaltati!
Nei paesi ove facevo tappa sera per sera, narravo alcune pagine di Ciampitti o storie legate a quel percorso, cordone ombelicale dell’identità ancestrale. Antesignano e precursore (non è immodestia ma realtà dei fatti), sensibilizzavo, sollecitavo a non far cancellare ciò che non era solo un semplice prato d’erba: testimonianza di transumanze di armenti, ma anche vie del pellegrinaggio, del commercio, culturali e storiche: basta pensare alle guerre tra Sanniti e Romani, ai siti archeologici… 250 chilometri in 14 giorni mi son sciroppato!
La “baraonda” creata, andò su giornali nazionali, servizi televisivi, da Maurizio Costanzo… Proponevo un discorso soprattutto turistico: una peculiarità molisana, unica nel genere…. Trent’anni fa! Trent’anni dopo, il peggio del peggio. Molti di quei tratti non si riconoscono più, altri convivono all’ombra delle pale eoliche, altri sono stati accorpati (sottratti) da furbi confinanti (tanto esiste una mappa delle concessioni, ma se vai a chiedere nessuno sa dirti bene come e quali: insomma, nel disinteresse totale, non ci capiscono più un beneamato cavolo!). Ma “in compenso” da allora, se ne fa un gran blaterare!
Abbiamo (Avevamo?…) una risorsa turistica in Molise, unica particolare e vogliamo continuare a giocarcela? Un cordone ombelicale che ci accompagna ai siti Sannitici, Romani, paesistici e non solo ai retorici tarallucci e vino: Tratturi, occasione mancata! Soldi (tanti) spesi malamente (quanti inguattati?) anche in segnaletiche che indicano il nulla: non era meglio ripristinarne e offrirne al turista alcuni chilometri-simbolo incentivando la gente che ci vive alla riattazione di masserie per l’accoglienza? I giovani ( che vanno via o si annullano al bar) a puntare su una nuova pastorizia? Erba senza asfalto e macchine: a piedi, a cavallo, in mountain bike…
Santiago di Compostela con il suo lungo “cammino” ci vive e prospera su da anni; la Via Francigena insegna…
Tratturi, occasione perduta! Soldi ne sono arrivati e tanti e a noi restano chiacchiere e chiacchiere.
Forse, signori politici, c’è poco da guadagnare (in generale) su questo progetto? Meglio un cementificio o un inceneritore? Nessuno che rischi l’impopolarità tra i colleghi ma il plauso della sua terra e della gente attivandosi concretamente a favore?
Allora contro i miei principi vi faccio una proposta: trattenetevi pure ciò che ritenete giusto o secondo voi dovuto (in denaro o voti per favori concessi), ma non siate ingordi, puntate sui tratturi e una parte dei contributi mettetela con “competenza” proprio sui tratturi, sul reale sviluppo sostenibile del vostro (meglio: nostro) Molise! E poi, fatevi un po’ da parte e non politicizzate tutto! E voglio dirvi ancora qualcosa: perché sperperare in 10mila rivoli i soldi per le tradizioni? In Molise vanno finanziate nove, dieci manifestazioni ad alto livello e pubblicizzate fuori dai confini regionali: La N’docciatta di Agnone, la Faglia di Oratino, i Misteri di Campobasso, la Festa del Grano di Jelsi, La Carrese (lì ove non si maltrattano gli animali) o San Pardo di Larino, i riti ancestrali del Diavolo (Tufara), dell’Orso (Jelsi), del Cervo (Castelnuovo al Volturno) e della Pagliara (Fossalto e Acquaviva Collecroce) e poi giusto ancora qualche altra valida; ma non certo -per citarne sarcasticamente una a caso e inventata, la sagra dei “cavoli a merenda”… E poi, e poi, la transumanza!
Scrive Enzo Garofalo su “Fame di Sud”: «…È un destino comune alle regioni del Mezzogiorno, se non dell’Italia intera. Resta il fatto che il Molise risulta la regione più inattiva dal punto di vista della comunicazione, abbondantemente battuta dalla Calabria, fino a poco tempo fa altra “terra di nessuno”. In quattro anni di pubblicazione della nostra rivista dalle istituzioni molisane ci sono arrivati solo comunicati di contenuto politico-propagandistico… nessuna iniziativa culturale degna di nota. È ora che i cittadini si diano da fare “dal basso” come sta accadendo altrove… L’immagine del Molise, è a mio avviso tutta da costruire. Sembra paradossale, ma l’espressione diventata proverbiale, e quasi offensiva, “il Molise non esiste”, finisce proprio col rispecchiare questo tipo di situazione. Si fa davvero fatica ad avere una qualche percezione di “cosa sia” il Molise in senso culturale e ambientale e di “cosa ci sia” in Molise… e personalmente non ho dubbi che ci sia davvero tanto. Quindi ben vengano iniziative come quelle che in vario modo tu stai portando avanti. È necessario che lo facciano anche altri… che si spalanchino finalmente le porte di questa meravigliosa terra. La storia di Moulin, da questo punto di vista è davvero rivelatrice. Noi intanto cerchiamo di fare la nostra parte, un po’ alla volta».
Era il 1989 quando andai a scovare la famiglia Colantuono (non c’erano ancora gli sceriffi e manco i cavalli) ed oggi scopro un volenteroso allevatore di ovini, Antonio Innamorato, che di sua sponte decide di prolungare la transumanza di ritorno con la famiglia e più di 500 pecore dal Matese sino all’ingresso trionfale secoli dopo, ad Altilia di Sepino, gioiello archeologico (grazie ai permessi della Sovrintendenza e all’organizzazione del Centro Biocult di ricerca sulle risorse Bio-culturali e sviluppo locale che fa capo ai professori Letizia Bindi e Fabio Pilla). Mi dico: perché dunque non rinfilarsi gli scarponi e riavviarsi?… Lo scopo che spinge è sempre l’emozione, ma anche la curiosità di scoprire le condizioni del tratturo Pescasseroli-Candela, almeno nel tratto da percorrere.
«È dal ‘76 che non faccio più transumanza Molise-Puglia e ritorno. Iniziai con mio padre a otto anni!…» – racconta Antonio. «Ora ho tre figli che mi assecondano e coadiuvano: Giacomo, Luca e Michele. L’invito a questa transumanza è aperto a tutti coloro che ne hanno voglia, che desiderano conoscere, comprendere e auspico nella continuazione futura, un minimo incentivo da parte di chi è preposto e interessato a sostenerla, se vorrà intuirne l’importanza».
Scendiamo man mano da Civita a Bojano. A parte l’accoglienza di una giovane scolaresca che riempie il cuore del massaro di sincera soddisfazione, l’amministrazione comunale è latitante. Si prosegue verso San Polo Matese e qui va meglio. Sosta notturna, fuoco, zampognari e allegra cena alla presenza del sindaco del borgo. Ora Antonio è arrivato e potrebbe riportare le pecore in stalla nella vicina azienda, ma si è dato un compito e lo porterà sino in fondo: prolungare il percorso di un altro giorno e un altro ancora per tornare con gli armenti. La razza è la “Gentile di Puglia”.
«Come potrebbe chiamarsi qui da noi?» – scherza Antonio. Penso: «La Scorbutica del Molise»…
Tra la nebbia mattutina, si richiamano i cani e ci si avvia: tanta gente al seguito; era ciò che si voleva. Si sfiora Campochiaro. Qualche furbacchiotto si aggiunge al gruppo (lo si trova già appostato) solo nei punti di accoglienza organizzati da qualche sindaco (vedi Guardiaregia): salumi, caciocavalli, mozzarelle, dolci…. Poi, satollo, sparisce di nuovo (Eh! Eh). Il tratturo, dai suoi 111 metri originali, ormai spesso e purtroppo si restringe in un sentiero; si nasconde in un intricato groviglio di vegetazione, scompare del tutto… Mi dà malinconia e rabbia avere negli occhi un patrimonio tra le mani e intuirne, conoscerne, verificarne l’incuria… Basterebbe il passaggio sistematico di greggi, capre e mucche (erba e latte, latte e formaggi) e lo terrebbero pulito; magari dopo il ripristino iniziale da parte di qualche cooperativa di giovani seri a cui la Regione dovrebbe in primis assegnare l’incarico e in seconda battuta affidare il mantenimento ai Comuni attraversati.
Il condizionale è d’obbligo ed io sono anche quasi stanco di me stesso nel ripetermi da trent’anni a vuoto!… I turisti – sicuramente per primi gli stranieri – arriverebbero, ma anche il contadino del luogo va istruito, educato all’accoglienza! Mi ci gioco la reputazione e la credibilità… I politici che si sono avvicendati, se la sono già giocata da tempo… Solo il Molise ha ormai il tratturo, ma se aspettiamo qualche anno ancora, ne resterà ricordo e rammarico!
Andrebbe rifatta una nuova reintegra, come quella di Capecelatro del 1650 e verificati i confini delle concessioni: dopodiché a scadenza, chiuse anche quelle…. Ripristino dei tratturi e delle masserie; ove sia impossibile, alcune deviazioni; sottopassi e cavalcavia; accoglienza. Solo dopo, massiccia pubblicità con ogni mezzo!…
Ecco Altilia e si attraversa la romana porta Bojano come fosse l’Arco di Costantino, il cardo, il teatro, il foro… Gente che accoglie, tanta! Il viaggio si conclude. La speranza anche?…
Ancora un po’ di Ciampitti, dalle ultime pagine: «La malinconia è una stanchezza. Cosa ne sarà del tratturo?… Cola voleva difendersi dal passato ma il passato ritornava. I ricordi. Soltanto essi rimangono con lui. Tristezza delle cose perdute. Rimpianti… Timori, preoccupazioni, ansie per i paesi di montagna e di tanti piccoli centri dove la pastorizia è tutto: tradizione, mestiere, lavoro, piccola industria, agricoltura, commercio, risparmio, artigianato, economia, denaro… Più nulla da fare: viene il momento e chi rimane non sa cosa farsene della vita e di tutte le cose della vita… Il vento lo investe forte…. Continua a camminare: oltre il ponte, a meno di un miglio, comincia il tratturo».
Pierluigi Giorgio

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