L’allarme, per il Molise è arrivato proprio dalla direzione nazionale Antimafia, il braccio investigativo della procura che Federico Cafiero de Raho guida da metà novembre.
La ‘ndrangheta e cosa nostra, hanno scritto nella relazione al Parlamento gli esperti della Dna, fanno affari in Molise, terra che non è più solo di passaggio o utile per nascondersi.
Arrivando al convegno organizzato dall’Ufficio scolastico regionale al liceo classico ‘Mario Pagano’ di Campobasso, Cafiero de Raho ai giornalisti dice: «Di villaggio o territorio felice credo che non si possa parlare mai, anche perché le mafie vanno a reinvestire il denaro di cui dispongono nei territori in cui vi è meno capacità di reazione». E aggiunge: «Laddove non ci si attende che vi arrivino è proprio là che loro invece vanno a reinvestire. Quindi isole felici non ce ne sono più e proprio per questo è necessario che di volta in volta le indagini siano approfondite, siano ampie e che qualunque elemento possa determinare sospetto».
La crisi è pane per i denti delle mafie. «In un momento, come quello attuale – ancora il procuratore – in cui l’economia soffre enormi difficoltà, laddove società, imprese, ditte che hanno un marchio affermato da decenni, anche alcune da oltre un secolo, se quelle chiudono ci si domanda come aprono determinate ditte investendo milioni di euro per apparire con negozi. Certo dietro devono avere un solido getto economico, molto affidabile per essere in grado di investire tanto. Vediamo chi sono questi soggetti per evitare che siano loro l’economia del domani».
Da anni, i mafiosi non sono più quelli con la coppola. Le cosche investono, comprano consensi e silenzi, ‘acquistano’ territori prima sani. «Comprano, non hanno bisogno di costringere. Laddove c’è da reinvestire, si mantiene intatta la struttura societaria, ma si entra con il denaro. C’è la certezza – spiega de Raho – che chi ha avuto il denaro lo restituirà senza fiatare cioè l’impossibilità di venir meno agli impegni presi. È per questo che non ci sono più atti di violenza. Ecco l’importanza dell’etica nell’economia».
Protagonista dell’iniziativa voluta dalla direttrice dell’Usr Anna Paola Sabatini insieme al segretario generale della Cei Nunzio Galantino, al convegno insieme a Cafiero de Raho partecipano anche il procuratore generale Guido Rispoli e quello del Tribunale di Campobasso Nicola D’Angelo.
Il tema del dibattito è il coraggio. Serve coraggio per scegliere la legalità. «Penso che il coraggio – è la riflessione del procuratore nazionale Antimafia – venga infuso nel cittadino quando lo Stato gli è vicino e quando, questa vicinanza, gli garantisce tutele. Quello che avviene in territori dove le mafie sono presenti avendo invaso interi comuni, occupando interi territori e condizionando le attività economiche e politiche, ebbene, proprio in quei territori che si nota che laddove lo Stato è vicino, è presente, il cittadino si apre molto di più alla collaborazione».
Il coraggio, è convinta Anna Paola Sabatini, è «il primo ingrediente della legalità. I ragazzi
devono imparare a superare indifferenza e rassegnazione a partire dalla propria esperienza di giovani: bullismo, droga, consumo di alcol, stupefacenti, gioco d’azzardo e cattivo uso del proprio corpo che stanno cominciando a diventare realtà anche fra i nostri giovani».
Affollata l’aula magna del liceo classico. Ci sono le massime autorità istituzionali, numerosi docenti, tantissimi studenti. A loro monsignor Galantino parla di quanto sta avvenendo a Napoli, l’esplosione di violenza delle baby gang: «Oltre all’appello del cardinale Sepe, mi sembra molto importante l’appello della madre di Arturo, di questo ragazzo che ha subito queste realtà, e anche delle altre mamme. Penso che qui non basta più la voce soltanto della chiesa, la voce soltanto della scuola, la voce soltanto delle istituzioni, o ci mettiamo insieme, lavoriamo insieme. Ripeto non per i ragazzi ma assieme ai ragazzi, o noi rischiamo tutti quanti di lavorare in maniera abbastanza volatile, inutile. Dobbiamo lavorare insieme».
Si avvicinano le elezioni, tema che non sfugge al segretario della Cei. «Chiediamo sicuramente onestà, chiediamo realismo, chiediamo umiltà e moralità, perché la moralità – sottolinea – non riguarda soltanto il sesto e il nono comandamento. È immorale dire cose e fare promesse che si sa di non poter mantenere, è immorale speculare sulla giusta paura delle persone. Quindi lucrare sulla paura della gente. Questo è immorale. Educare alla legalità, secondo me, significa educare al senso di giustizia perché una legalità che non è orientata al senso di giustizia è una legalità un po’ ambigua».
ppm

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.