Determinata, intelligente. Molto intelligente. Colta. Dolce, educata. Coraggiosa.
Alta un metro e 80. Convinta, anzi, convintissima delle sue ragioni. Bella, dentro e fuori.
Fino a qualche mese fa buona parte del Molise ignorava la sua esistenza. Poi la notizia del Pride a Campobasso. E i riflettori della cronaca si accendono su Luce Visco, presidente dell’Arcigay Molise e – per questa piccola regione che fatica a comprendere – manifesto di chi lotta per affermare i propri diritti.
Una chiacchierata a “cuore aperto”, su aspetti probabilmente ai più inediti.
Dal suo viso, assai curato, trapela poco o nulla. Nella sua anima tanta sofferenza, tanti ricordi brutti. Molti ormai sono alle spalle, qualcuno resiste. Il ricordo doloroso del papà con cui «Luce non è riuscita a stabilire un rapporto». Se n’è andato all’improvviso a causa di un incidente quando lei aveva 17 anni, oggi ne ha 21. All’epoca per i suoi familiari era ancora Pierluca, adolescente di un piccolo centro della provincia dove tutto è più complicato. Perché si fa fatica a capire, talvolta non si vuole capire.
Lei ha sempre avuto le idee chiare, mai un tentennamento, una indecisione. «Non c’è stato un momento – spiega – in cui mi sono scoperta perché mi sono sempre riconosciuta donna. C’è stato invece un momento in cui ho dovuto impormi, ho dovuto far capire agli altri. Ho sempre saputo molto bene chi fossi. Lo step più difficile è stato quello di far capire che non si trattava di un gioco, che non si trattava di una fase».
Perché «un gioco»?
«Perché spesso le persone fraintendono, possono fraintendere. Soprattutto le persone ignoranti sulla tematica pensano possa trattarsi di una fase, di un capriccio – capriccio è il termine più ricorrente. Mentre invece no, è semplicemente un dovere essere obbligati a seguire la propria natura. Mi dicono spesso: “Tu hai scelto”. No! Io non ho fatto scelte. Ho semplicemente seguito me stessa e la mia natura, altrimenti avrei dovuto scegliere la morte, perché non sarei potuta andare avanti nella menzogna in una vita che non mi apparteneva più, con un’identità che non mi è mai appartenuta».
Sei giovanissima, hai conseguito da poco il diploma. L’adolescenza di un ragazzo che si scopre donna non deve essere semplice. Gli insegnanti ti sono stati vicini, hanno compreso?
«A prescindere dal mio caso, in genere i docenti non comprendono. E ciò, purtroppo, favorisce fenomeni di bullismo. Per questo con l’associazione (Arcigay, ndr) proponiamo corsi di formazione all’interno delle strutture scolastiche. Per quanto riguarda la mia situazione personale, diciamo che mi sono trovata in difficoltà, difficoltà che mi ha portato ad abbandonare gli studi – tant’è che mi sono diplomata con due anni di ritardo -, perché non riuscivo a trovare il sostegno e il supporto da parte dei miei insegnanti. E questa cosa ha portato a un blocco delle prestazioni scolastiche, perché non mi sentivo capita e andare a scuola per me era diventato davvero difficile. Chiaramente avevo anche difficoltà a relazionarmi con i miei compagni, ma a dire il vero loro non mi hanno creato problemi, erano più fantasmi che riguardavano me. Ero io che mi sentivo intimorita. Avevo paura di venire fuori e relazionarmi. E questa paura mi è costata parecchio».
«O mi imponevo o la morte».
«Mi sono trovata di fronte a un bivio: scegliere la luce o l’oscurità. L’oscurità tenta chiunque. Ho avuto dei momenti in cui l’oscurità iniziava a far parte di me, ma con la mia famiglia, stupenda, non avrei mai potuto lasciarmi tutto alle spalle. Ho una famiglia davvero meravigliosa, che è stata un po’ la mia ancora di salvezza. I miei nipotini, la mia mamma: tutto ciò mi ha portato verso la luce».
Con l’Arcigay fate informazione nelle scuole.
«Purtroppo non abbiamo avuto una sola adesione. È molto difficile. Con l’Arcigay diventa complicato muovere anche mezzo passo. Non veniamo presi seriamente. Chissà la gente cosa pensa che facciamo: cerchiamo solo di aiutare chi ha bisogno. Tant’è che quando siamo entrati nelle scuole invitati dagli studenti nel corso delle assemblee il riscontro è stato assai positivo».
È stato difficile arrivare sin qui?
«È stato molto difficile. La nostra società è cattiva con le persone transessuali, c’è uno stigma che verte intorno alla transessualità che andrebbe destrutturato. Spesso si parla di donne trans. Il maschilismo lo viviamo anche noi, perché a differenza degli uomini trans veniamo viste come promiscue. Si parla di transessualità legando l’argomento ai sexy worker, al mondo della prostituzione. Ovviamente parte delle donne trans si prostituisce, è vero. Ma lo fa perché non ha alternative. Trovare un lavoro per una persona che deve affrontare un percorso psicologico, un percorso medico e poi legale per il cambio anagrafico, non è semplice. Servono tanti soldi, serve lavorare. E per noi diventa complicato. Qualcuno si prostituisce non sapendo come fare, ma è una piccola realtà rispetto a tutta la comunità. Ci tengo a sottolineare che a 21 anni sono una ragazza normalissima, con una vita normalissima, con una bellissima famiglia, che cerca di portare avanti l’attività di un’associazione che si batte per i diritti di tutti. Ma arrivare fin qui è stato molto, molto difficile».
Sarebbe stato diverso se fossi vissuta in Lombardia o in Emilia Romagna?
«No. In passato mi lasciavo influenzare parecchio dal contesto sociale, questo è vero. Il timore maggiore per me era quello di affrontare la mia famiglia e quella (la famiglia, ndr) sarebbe stata la stessa in Lombardia o a New York. Il timore di fare coming out non fa parte solo delle piccole realtà. Spesso nelle grandi città c’è ancora più paura perché si va incontro a una delinquenza maggiore, aggressioni fisiche, verbali».
Sei mai stata vittima di episodi di intolleranza?
«Mai. Ho avuto uno scontro con un vecchio amico che si è rivelato tutt’altro. Ma non ho mai subito vessazioni o violenze, né fisiche, né verbali. Penso di essere stata molto fortunata».
Ho letto un’intervista in cui affermavi di aver intrapreso un percorso di transizione.
«Il percorso comincia con delle sedute da uno psicologo, che deve riconoscere la disforia di genere (è stata depatologizzata – chiarisce Luce – quindi non è più una malattia mentale. “Solo” dal mese, scorso, tra l’altro). Con la relazione rilasciata dallo psicologo si può avere l’accesso alle cure ormonali. È quindi necessario rivolgersi ad un medico endocrinologo che ha già avuto esperienza con persone trans (ci sono diverse strutture pubbliche in tutto il Paese). Il medico prescrive degli esami, in base ai risultati prescrive la cura ormonale. Per quanto riguarda le persone come me che transizionano dal sesso maschile al femminile, la cura consiste in anti androgeni ed estrogeni, che bloccano il testosterone e femminilizzano i caratteri del corpo. Successivamente, per chi vuole, c’è l’operazione al seno, la vaginoplastica e il cambio del nome, ovvero, le operazioni di riattribuzione del sesso. Qui la competenza passa al tribunale. Quindi è necessario affrontare un percorso legale, identico a quello di un qualsiasi procedimento che finisce davanti a un giudice. È il giudice, quindi il tribunale, che decide se si è idonei».
A che punto sei?
«Sto avviando il percorso legale, manca qualche dettaglio. Ho consultato un avvocato, ma ancora non andiamo in tribunale. Lo faremo presto, partendo dal cambio anagrafico: per me è importantissimo. Attualmente è la mia priorità assoluta. Tra l’altro adesso è possibile chiedere il cambio sui documenti anche senza aver subito l’operazione, prima non si poteva».
Qualcosa che ti ha fatto soffrire più di altre?
«Tante cose. La cosa più impattante che ho vissuto – che poi ha dato il via a tutta la mia rivoluzione interiore – è stata la perdita di mio padre. È accaduto quando avevo 17 anni. Un momento devastante anche perché è stata una perdita inaspettata. Lui è venuto a mancare a causa di un incidente, quindi non ero mentalmente pronta ad affrontare il lutto. A seguito della sua perdita ho cominciato a covare molta rabbia, nei confronti di me stessa e nei confronti degli altri. Rabbia che man mano si è trasformata in motivazione mista alla stanchezza di portarmi tutto dentro. È maturata dunque in me una consapevolezza che mi ha portata ad affrontare la mia famiglia, i miei amici e gli altri. Questo lo step più difficile e doloroso anche perché nonostante tutti sapessero e tutti immaginassero, parlo della mia famiglia, inizialmente ho avuto grosse difficoltà, soprattutto per quanto riguarda mia madre. Ma devo dire che – non so per quale motivo – con il passare del tempo io e mia madre ci siamo avvicinate talmente tanto che adesso è la donna più felice del mondo ed è molto orgogliosa della figlia che sono. Io sono altrettanto orgogliosa di lei: ha fatto un cambiamento più importante del mio. Con gli occhi dell’amore è riuscita ad abbracciare la figlia che tanto voleva, che tanto desiderava. Soffro molto per non aver potuto istaurare un rapporto tra Luce e mio padre».
Sei innamorata?
«Sì».
Pretendenti?
«Non ci lamentiamo».
Sabato prossimo il Pride a Campobasso. Siamo nel 2018: è ancora necessario manifestare per affermare i diritti di genere? Il problema, se problema si può definire, è delle vecchie generazioni. Oggi i ragazzi sono disinibiti, aperti. Hanno la mente libera da pregiudizi.
«Ti sbagli, non è così. Il problema non è la tua, ma la mia generazione. I ragazzi sono davvero devastati: adesso va di monda il fascismo. Ragazzetti di 14-15 anni che cavalcano questa campagna di odio contro il diverso. Le menti dei giovani si stanno debilitando. Oggi c’è bullismo per qualsiasi cosa: se si è magri, se hai qualche chilo in più; per il contesto familiare, per quello sociale. E ovviamente, anche e soprattutto, per identità di genere e orientamento sessuale. Il Pride è importante perché ogni giorno avviene un’aggressione o omofoba o transfoba in cui delle persone colpevoli solo di amare qualcuno dello stesso sesso o colpevoli di “essere” vengono brutalmente aggredite e nel peggiore dei casi anche uccise. Il 4% delle chiamate alla gay helpline nazionale arriva dal Molise (dato che impone una riflessione, ndr). Mi sento spesso dire: perché il Pride? Perché questa manifestazione? Il Pride è importante e lo sarà fino a quando accenderò la televisione e continuerò a sentire di gente che è stata aggredita, di gente bullizzata, di gente che ha subito violenza solo perché colpevole di “essere” o di amare. È una cosa del tutto inconcepibile. Arriviamo in Molise con qualche decennio di ritardo, ma allo stesso tempo meglio tardi che mai. È importantissimo e dà anche prestigio alla nostra regione. Mi raccomando, è davvero importante esserci il 28 luglio».
Quante persone aspettate?
«Bella domanda. Speriamo abbastanza».
Un consiglio ad un ragazzo o a una ragazza che vuole cambiare ma non ha il coraggio?
«La cosa importante è smettere di preoccuparsi di ciò che pensano gli altri e ascoltare se stessi. Non avere timore di perdere i propri affetti perché le persone che ci amano sono quelle che resteranno sempre, mentre tutto il resto è solo un contorno. Non avere paura di nulla ma ascoltarsi. L’ho imparato a mia spese: vivere nella menzogna è pericoloso, per la propria psiche e per il proprio fisico. Ci si continua a danneggiare e a farsi del male. Iniziare il prima possibile a fare un lavoro su se stessi: l’Arcigay Molise è a disposizione di chiunque, le nostre porte sono aperte a tutti. Offriamo anche uno sportello legale».
Il patrocinio al Pride negato dalla Regione?
«Non posso dire che ce l’aspettavamo, ma l’avevamo messo in conto. Abbiamo comunque invitato il presidente Toma, mi auguro che verrà. Anzi gli rinnovo l’invito. Mi sembra una persona molto disponibile, ho letto che condivide i nostri temi».
Cosa vuole fare Luce da grande?
«Conto di iscrivermi presto all’università, sono ancora indecisa sulla facoltà, ma orientativamente tra scienze della comunicazione e scienze della formazione, voglio trovare un piccolo lavoretto e completare il percorso di transizione».
Un’ultima domanda, più intima delle altre: Luce ha un fidanzato?
«Luce è molto innamorata e spera di poter concretizzare questo amore al meglio».
L’espressione del viso si addolcisce ulteriormente. Vorrebbe aggiungere qualcosa ma si trattiene. Si volta e guarda sorniona Denise Lorella Narducci, amica e consigliera dell’Arcigay seduta al suo fianco. Uno sguardo che vale più di mille parole. Chissà, forse l’amore tra Luce e il suo moroso è già concreto.
Luce poteva scegliere l’oscurità, ma «nonostante la tentazione» ha scelto di vivere. Appena 21 anni, la maggior parte del suo tempo lo ha trascorso a lottare. Non lo dice, ma la lotta è stata pesante, devastante, le è costata tanto. Però non ha rinunciato. Un esempio che merita di essere raccontato, anche nei dettagli. Un esempio per tutti.
Prima di lasciare la redazione di Primo Piano ribadisce: aiutatemi a promuovere l’associazione (Arcigay, ndr). È importante, ripete.
Luce è una donna felice. Infelici – e lo saranno per sempre – coloro che vivono ossessionati dal pregiudizio e dal pettegolezzo.
luca colella

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