Dalla svolta moderata di Salvini, che in economia ora punta a convincere i mercati, alle priorità del Sud con le proposte degli industriali rilanciate a una settimana dall’arrivo in Molise della ministra Barbara Lezzi (sarà a Palazzo Vitale per un confronto sui fondi Ue). Non mancano i temi di stretta attualità locale, come la Zona economica speciale e l’area di crisi complessa. In questa intervista a Primo Piano Molise il vicepresidente di Confindustria Molise Mauro Natale, che ha la delega ai rapporti istituzionali, tocca numerosi argomenti che sono al centro del dibattito d’autunno.
Tutti i giornali nazionali stanno evidenziando in questi giorni “la svolta” di Salvini sul fronte economico – più lavoro dal taglio del cuneo fiscale e quota 100 per tutti, sì ai vincoli Ue. Lei coglie in questa posizione anche un ammorbidimento verso Confindustria, o la proposta della Lega di imporre alle aziende partecipate dallo Stato di abbandonare l’associazione resta valida?
«Confindustria ha bisogno di un governo su cui poter contare e non di uno stato di campagna elettorale permanente, come se le imprese fossero il grande nemico del Paese e non creatrici di occupazione! Quanto alle aziende partecipate che aderiscono a Confindustria, vorrei ricordare quanto già detto chiaramente dal presidente nazionale Vincenzo Boccia: le partecipate rappresentano il 4% dei contributi e il 2% dei voti. Se qualcuno pensa di indebolire il sistema per ridurre la nostra autonomia, sbaglia di grosso!».
Ha citato Boccia. Condivide la sua proposta di scendere in piazza contro le politiche di bilancio di questo governo?
«Ritengo che si sia trattato più di una provocazione che di una proposta, per ricordare a quest’esecutivo che il nervosismo delle imprese è elevato e se si insiste con certe affermazioni non si fa il bene del Paese. Le nostre imprese – ricordiamocelo – rappresentano il volano della ripresa ma, fino ad ora, non sono sembrate al centro dell’azione di quest’esecutivo. Da mesi parliamo solo di migranti e pensioni, seguendo un modello di democrazia diretta che tiene fuori le parti sociali. A questi temi, si è aggiunto quello relativo alla richiesta di maggiore autonomia delle Regioni più ricche, quali il Veneto, la Lombardia, il Piemonte e l’Emilia Romagna».
In realtà anche qualche Regione del Sud – escluso il Molise – ha mostrato interesse per la proposta di maggiore autonomia su materie ora di competenza dello Stato, per esempio la Puglia e la Basilicata. Che ne pensa?
«Direi che ha dell’incredibile la vocazione del Sud a farsi male! Dovremmo essere più seri e responsabili prima di parlare. Sarei curioso di sapere cosa ne pensano i cittadini molisani e meridionali in genere sulla possibilità di attribuire alle Regioni maggiori competenze e maggiori poteri. Se guardiamo a tutti gli interventi che finora hanno tolto poteri allo Stato centrale, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, non possiamo non vedere dei risultati opposti a quelli sperati, soprattutto a Sud. Pensate alla sanità regionalizzata, a partire dal Molise. I dati Istat dicono che la spesa sanitaria tra il 2003 e il 2013 è salita ovunque in Italia».
È vero. Ma non ritiene che in qualche modo le Regioni debbano contare di più nelle scelte del governo nazionale?
«Questo è un altro tema, che non vuol dire affermare il primato e l’autonomia delle Regioni a scapito dello Stato nazionale. L’attribuzione di maggiori competenze e poteri alle Regioni andrebbe preceduta da una revisione dell’attuale architettura istituzionale dello Stato, individuando macroterritori omogenei sul piano socio-economico e demografico. Troverei ingiusto, per i cittadini e le imprese, attribuire le stesse competenze ad un territorio grande e ricco come la Lombardia e piccolo e marginale come il Molise».
Chi ha più possibilità di correre chiede di poter andare più veloce. Lei non è d’accordo con questa impostazione?
«No, perché noi dobbiamo correre di più come Paese e ciò è possibile solo se tutte le regioni italiane crescono in maniera omogenea ed equilibrata. L’unità del Paese, avvertita come valore solo quando veniamo eliminati ai mondiali di calcio, dovrebbe essere misurata soprattutto sui temi della crescita inclusiva e dello sviluppo, ad una sola velocità. Dobbiamo essere federalisti in Europa, non in Italia!».
Di cosa c’è bisogno per stimolare la ripresa del Sud?
«Il Mezzogiorno per molti anni è stato ignorato e deve tornare a rappresentare una priorità nell’agenda di governo. Quanto alle azioni, occorre investire in infrastrutture, usare meglio i fondi strutturali, favorire chi investe nelle regioni meridionali, recuperando il valore della variabile “tempo” perso dalla pubblica amministrazione, a tutto vantaggio di una burocrazia lenta e farraginosa. Ogni volta che la pubblica amministrazione deve intervenire in un processo strategico di impresa, la competitività di questa cala. Inoltre, come ho sempre detto in questi anni, occorre che le regioni del Sud imparino a collaborare tra di loro, impostando progetti strategici su aree più vaste rispetto a quelle dei singoli territori».
A tal proposito, il presidente di Confindustria Molise Giaccari ha espresso il suo sconcerto sulla ipotesi di una Zes con la Puglia e non più con l’Abruzzo.
«Il collega Giaccari ha espresso la posizione di tutti gli imprenditori della nostra associazione, coinvolta – con altri attori sociali locali – per realizzare una Zona economica speciale con l’Abruzzo. Abbiamo lavorato per mesi con l’Anci, i comuni dell’area bassomolisana, i sindacati e altri soggetti ancora, giungendo ad un’intesa con i colleghi abruzzesi che ci sembrava fosse un punto di arrivo. Invece, solo dalla stampa, abbiamo appreso la novità sulla Zes con la Puglia. Un metodo, questo, che mortifica il ruolo delle organizzazioni sociali e che vanifica, di fatto, mesi di lavoro. Del resto, anche i colleghi abruzzesi ci stanno manifestando il loro disappunto e attendono una posizione di coerenza da parte della nostra Regione».
Per le aree di crisi complessa, come la nostra, a che punto siamo?
«Lo vorremmo sapere anche noi, ma qui siamo di fronte ad un altro esempio di disinteresse verso le parti sociali, coinvolte sporadicamente e solo a cose già fatte su decisioni importanti dei governi nazionali e locali. Comunque, sappiamo che il Molise ha firmato l’accordo di programma con il ministero delle Infrastrutture e trasporti per l’area Venafro-Campochiaro-Bojano, insieme ad altre aree di crisi complessa sparse un po’ ovunque in Italia, per un totale di 690 milioni di agevolazioni a valere sulla legge 181/89, ma le risorse impegnate finora rappresentano complessivamente il 36%. Auspichiamo che si accelerino i tempi, perché queste aree hanno subito una perdita occupazionale rilevante».
Tempi rapidi: è una sfida anche per il nuovo governo. Però alcuni settori della maggioranza mettono in discussione le grandi opere. Ad esemio, la Tav Torino-Lione o la Tap in Puglia, cantieri aperti e non progetti su carta. Che ne pensa?
«Penso sia una cosa gravissima, perché oltre il rischio di dover pagare penali miliardarie che peserebbero sui cittadini-contribuenti e sulle imprese, si dimentica che il nostro è un Paese privo di materie prime e che vive di export. Su 540 miliardi di esportazioni, ben 450 arrivano in Italia grazie all’industria. L’Italia ha bisogno di infrastrutture, piccole e grandi, e occorre realizzarle in tempi rapidi, comportandosi con responsabilità non soltanto nei confronti del proprio elettorato ma dell’intero Paese. Quanto al Molise, richiamo l’attenzione su quanto già espresso dal presidente Giaccari in merito alla necessità di mettere in sicurezza la viabilità ordinaria di questa regione. Oggi, invece, noto che questa necessità di cittadini e imprese viene messa da parte a vantaggio di uno dibattito sulle strategie infrastrutturali che necessitano di tempi estremamente lunghi rispetto ai bisogni di questa regione».

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