Un evento inedito. Un incontro, a casa nostra: nella sede dell’Ordine dei giornalisti. In ‘platea’ i colleghi direttori di quotidiani, tv e organi d’informazione on line. Dall’altra parte del tavolo il procuratore D’Angelo. Al suo fianco il sostituto Schioppi e il luogotenente dell’Arma Scoglio, da anni stretto collaboratore del capo dell’ufficio inquirente di viale Elena.
E, ancora, il dirigente della Squadra mobile della Polizia Iasi e il comandante del Nucleo investigativo dei Carabinieri Di Buduo, tutti e due in prima linea nella lotta alla delinquenza.
Una chiacchierata per certi versi informale su un tema che non perde, purtroppo, mai attualità: la lotta al contrasto degli stupefacenti.
Il procuratore Nicola D’Angelo, da sempre schivo e refrattario agli obiettivi, questa volta ci ha messo la faccia, «non sono mai propenso ad apparire, ma se ciò – il suo ragionamento – può contribuire alla causa ben venga».
In Molise, forse non c’è consapevolezza – e questo ha spinto la Procura ha stringere un patto di collaborazione con gli organi d’informazione -, è in atto una guerra. La droga, come la guerra, genera morte e distruzione: uccide chi ne fa uso, devasta le famiglie dei tossicodipendenti.
«Vi chiedo di scendere in campo, vi propongo di arruolarvi per combattere insieme questa guerra. La Procura e le forze dell’ordine fanno tanto, tantissimo. Ma da soli al massimo vinciamo qualche battaglia, di più non possiamo».
L’appello alla stampa «affinché si parli di più del fenomeno. Affinché si approfondisca il tema, si sensibilizzino le istituzioni», che talvolta non fanno tutte fino in fondo il proprio dovere.
Procura, Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza (non presente all’incontro ma altrettanto impegnata nella lotta agli stupefacenti, ci ha tenuto a sottolineare D’Angelo) lavorano sul piano giudiziario. Ma quando gli inquirenti fermano un tossicodipendente, che magari a sua volta è diventato anche spacciatore per ‘guadagnarsi’ i soldi per comprare le dosi, il danno è fatto.
La mobilitazione è necessaria per conferire al fenomeno il valore di preoccupazione (e importanza) che lo stesso ha assunto quasi nel disinteresse generale, se non di chi ha a che fare con gli stupefacenti per ‘mestiere’. Come, appunto, la Procura, le forze di polizia o il Serd.
Il procuratore, partendo appunto dai dati del Serd, ha parlato ai giornalisti come farebbe ogni buon padre di famiglia. Senza toga, senza troppi formalismi. Ha illustrato i ‘numeri’ raccontando anche qualche retroscena ‘intimo’, confidenziale legato alle indagini. Come quella volta che da lui si è presentata una mamma che ha chiesto che il figlio non venisse rimesso in libertà: l’unico modo per salvargli la vita. «I genitori che vengono nei nostri uffici – ha detto – sono disperati. Hanno il volto segnato dalla sofferenza, dal dolore. Noto, però, che non hanno più lacrime da versare: le hanno già versate tutte».
Una mamma, nel suo sfogo con il capo della Procura, si chiedeva perché il Signore non le facesse terminare l’esistenza terrena: non aveva più l’energia, la forza di vedere il figlio divorato, annientato, sopraffatto dagli stupefacenti: «Voglio morire piuttosto che vederlo morire».
In Molise sono iscritte al Serd 1.300 persone. Considerando che non tutti fanno ricorso alla struttura, a partire da chi fa uso di oppiacei, il dato dà la dimensione di quanto diffuso e preoccupante sia il fenomeno rispetto al numero degli abitanti. Non a caso, lo ha ribadito il sostituto Schioppi, siamo ai vertici della classifica del Paese per consumo di cocaina e ai primi posti per quantità di stupefacenti sequestrati.
Chi si rivolge al Serd ha necessità di medicinali ma anche di assistenza psichica. E la struttura, purtroppo, non ha in organico personale (numericamente s’intende) in grado di soddisfare le richieste.
Altrettanto raccapriccianti sono i dati circa l’età degli adolescenti che solitamente cominciano fumando quello che viene banalmente definito spinello o canna e che nell’immaginario collettivo «non fa male». Non è assolutamente vero: negli ultimi tempi è notevolmente aumentato il valore di Thc (è tra i principi attivi) della cannabis. «Fino a qualche anno fa si attestava a 3-4. Oggi oscilla tra 20 e 24».
La scuola e le famiglie giocano un ruolo fondamentale. Purché siamo messe nelle condizioni di capire cosa accade e come muoversi per tempo. La Procura ha avviato una serie di iniziative a cui hanno aderito l’Ufficio scolastico regionale e l’Ordine degli avvocati. E da ieri anche i giornalisti.
Il capitolo famiglie è molto complesso: la tossicodipendenza non è un fenomeno che ‘colpisce’ solo determinati strati della società. Gli inquirenti hanno a che fare con giovani tossici – a loro volta figli di persone note agli uffici giudiziari – e con i cosiddetti ragazzi di buona famiglia. Ciò che il più delle volte accomuna i casi è la mancanza di consapevolezza della dimensione del fenomeno. Probabilmente è un fatto culturale, ma c’è reticenza nel voler affermare e accettare che la droga ha effetti devastanti anche in termini di costi sociali: un disastro, lo ha definito D’Angelo. Il tossicodipendente ha necessità di comprare le dosi. Quando non ha soldi ruba. Talvolta crede di essere in grado di rivendere droga, quindi, ne acquista oltre il suo fabbisogno. Poi non riesce a pagarla perché la consuma e diventa vittima dei suoi spacciatori. Dalla tossicodipendenza scaturiscono numerosissimi incidenti stradali, talvolta anche mortali.
Alla droga, va da sé, è legata la criminalità organizzata. Il Molise, lo ha detto senza giri di parole il procuratore, fa gola – per l’elevato numero di assuntori – alla criminalità pugliese, campana e calabra, che fanno degli stupefacenti la principale attività di guadagno illecito.
Perfettamente d’accordo con l’allarme lanciato da D’Angelo, il capo della Squadra mobile della Polizia e il comandante del Nucleo investigativo dei Carabinieri. Entrambi hanno rappresentato la necessità di lavorare sui ragazzi e sulle famiglie affinché prendano coscienza che non sempre il tunnel della droga ha una via d’uscita. Accade, hanno riferito, che quando nel corso dei controlli spuntano modiche quantità di stupefacenti, i possessori, quasi infastiditi, chiedono e si chiedono «che male c’è»? Una tendenza che, è evidente, va necessariamente invertita.
Primo Piano Molise e Teleregione sposano senza esito la causa e faranno tutto quanto nelle proprie possibilità per tenere accesi i riflettori su un fenomeno che in Molise è possibile arrestare. Forse è un sogno, ma a volte «anche lavorare per coronare un sogno può contribuire a ottenere risultati veramente importanti»: così il procuratore D’Angelo ha salutato i cronisti.

Il giovane inquirente napoletano: «Qui possiamo fare molto di più»

Il Molise non è la Campania, ma la criminalità, rispetto al numero degli abitanti, non è da meno. «Sentivo parlare di questa regione – ha detto nel corso dell’incontro il sostituto Schioppi – come di quella che non esiste. La prima cosa che ho realizzato da quando lavoro qui è che il Molise non solo esiste (il giovane magistrato ha accennato un sorriso, perché è scontato che il Molise esista) ma esistono anche persone che commettono reati».
Giuliano Schioppi arriva da Napoli, realtà notoriamente più complessa e con un tasso di delinquenza altissimo. «Ma proprio perché non siamo a Napoli o a Bari possiamo fare molto di più».
Nel corso della sua carriera prima dell’arrivo a Campobasso, il sostituto ha lavorato a casi difficili. «Ho interrogato un giovane ragazzo, aveva 16/17 anni, che aveva rapporti ben consolidati con una importante organizzazione criminale campana. Era consapevole. Mi disse che quella strada lui l’aveva scelta ed era pronto ad affrontare i rischi che ne conseguivano. E che non aveva vie d’uscita. Tre o quattro mesi dopo quell’incontro è stato ucciso dai sicari di un clan rivale».
Il senso: in determinati contesti sociali, i giovani di Napoli (per dire di Palermo, Crotone o Bari) non hanno molte chance. In Molise viviamo una realtà diversa ma non immune a certi fenomeni. E quello dello tossicodipendenza sta assumendo, ovvero ha assunto, dimensioni preoccupanti.

Luca Colella

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