I cinghiali sul territorio molisano, secondo le stime, sono 12-13mila. Un numero impressionante se paragonato alla popolazione (poco più di 300mila abitanti).
Serve una task force, dice la Cia, perché i danni e le conseguenze dell’emergenza si riscontrano in settori diversi e una singola azione non basta più.
Il presidente della Confederazione italiana agricoltori Nicolino Potalivo e il direttore dell’organizzazione di via Vico Donato Campolieti hanno fatto ieri mattina il punto della situazione. Una situazione nota a tutti nelle linee principali, i dettagli rendono ancora meglio però l’idea di quanto sia urgente fare qualcosa.
«Colture distrutte, danni ai campi. Gli agricoltori sono ormai condizionati: non piantano il mais perché sanno che i cinghiali distruggerebbero il raccolto. È ora di mettere in funzione tutte le misure già presenti e di prevedere altre soluzioni», ha detto Potalivo. Un corpo speciale, ha portato ad esempio, che si occupi dell’emergenza. A livello nazionale, ne ha parlato il presidente Dino Scanavino: «Un piano di selezione – ha spiegato – non può essere affidato ai cacciatori. L’abbattimento dei capi o la cattura devono essere effettuati da personale dipendente dalle amministrazioni, il cosiddetto personale in divisa».
C’è, inoltre, la proposta di legge del Pd di Palazzo D’Aimmo che prevede di prolungare di due settimane la caccia al cinghiale e di consentire ai proprietari dei terreni – che abbiano la licenza di caccia – abbattere sempre gli ungulati o di rivolgersi ai cacciatori per farlo.
È un punto, ma anche quella da sola non basta. Negli anni fra il 2003 e il 2006 il ripopolamento deciso dalle Province per riequilibrare la biodiversità ha portato in Molise cinghiali di razza ungherese, che si riproducono molto di più rispetto a quelli della zona. Potalivo, fra le proposte della Cia, evidenzia quella di tornare alla razza autoctona.
Uno dei capitoli più ‘pesanti’ di questa emergenza è quello relativo ai danni subiti dalle aziende agricoli: i risarcimenti non pagati dalla Regione (competente per i danni ma non per il ripopolamento, punto critico e da cambiare per la Cia) ammontano a circa 3 milioni. I pagamenti sono fermi ad agosto 2012. «Oltre al danno, ci interessa il ripristino della libertà di impresa, la libertà di decidere cosa coltivare – ha aggiunto il direttore Campolieti – Gli agricoltori sono ormai attaccati dai cinghiali nei propri terreni, è accaduto a Oratino di recente a un nostro associato. Senza dimenticare i numerosissimi incidenti stradali e il rischio sanitario che si corre perché i cinghiali sono portatori di molte malattie».
Tutte le soluzioni prospettate sono valide ma se messe in campo singolarmente sono inefficaci. Il ripopolamento ha creato, intanto, uno squilibrio evidente nella biodiversità. «Il nostro è anche un appello alle associazioni ambientaliste. Occorre comunque istituire – ha sottolineato Campolieti – una task force con la Regione, i Comuni, le associazioni, il servizio veterinario a salvaguardia del territorio».
Nel dettaglio, la Cia chiede anche di aprire le zone di ripopolamento: lì l’attività venatoria è interdetta nel periodo di caccia al cinghiale e gli ungulati vi si rifugiano evitando così le doppiette. Ancora: bisogna eliminare la tassa che si paga per ogni capo abbattuto. «Il no dell’Ispra alla caccia aperta tutto l’anno per questa specie si basa sul numero dei capi abbattuti, che per l’istituto non dimostra una così alta presenza di cinghiali. Questo perché parliamo di 200 capi abbattuti, questo è il numero dichiarato. Per fa sì che i cacciatori dicano il vero, e mi assumo la responsabilità di quel che dico, bisogna eliminare quella tassa», ha concluso Campolieti.
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