In prima fila a Fiuggi alla convention di Forza Italia organizzata dal presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani: la conferma, laddove necessaria, che l’eurodeputato Aldo Patriciello non ha mai messo in discussione l’appartenenza al partito di Silvio Berlusconi.
Sul tema non risponde, «perché – afferma – si rettifica un’inesattezza. Qui siamo nel campo della congetture e francamente non mi appassiona rincorre le supposizioni. Preferisco che siano i fatti a parlare per me».
Argomento chiuso, dunque.
Patriciello preferisce parlare di Europa. Di migranti e occupazione. E anche del Molise. In tal senso – dice -, «ho molta fiducia nel presidente Toma. Farà un ottimo lavoro per lo sviluppo e la crescita della nostra regione».
Per l’eurodeputato molisano quella tra Salvini e i 5 Stelle «è un’alleanza innaturale».
Onorevole Patriciello, lo scorso fine settimana Forza Italia si è riunita a Fiuggi. Com’è andata?
«Molto bene. Un dibattito vero sulle sfide da affrontare nei prossimi mesi. Ho visto un partito vivo, che non ha paura di confrontarsi e di affrontare i problemi. Il presidente Tajani ha il grande merito di promuovere ed animare questo dibattito ogni anno, dobbiamo tutti essergli grati per il grande lavoro che sta facendo per rilanciare Forza Italia. La strada è quella giusta. Dobbiamo valorizzare al meglio le migliori energie del partito e aprire contemporaneamente alla società civile. Occorre ritrovare presenza, territorialità e proposta».
Nel frattempo però Salvini sembra aver monopolizzato l’attenzione mediatica ed è saldamente al governo con i 5 Stelle.
«Un’alleanza del tutto innaturale, frutto più delle storture della legge elettorale che di un vero e proprio programma condiviso. Del resto, basta osservare la cronaca politica delle ultime settimane per capire quanto disaccordo ci sia tra le due parti: hanno visioni e programmi troppo diversi per poter dare al Paese una linea economica chiara e soprattutto credibile. In generale penso che la Lega sbagli a lasciare lo scettro delle politiche economiche ai 5 Stelle. La dignità non può essere assegnata per decreto, servono soluzioni strutturali alle esigenze degli italiani. Ciò che questo governo ancora non ha compreso, o fa finta di non comprendere, è che senza impresa non può esserci lavoro. E senza lavoro non può esserci libertà».
L’anno prossimo si vota per le elezioni europee. L’Unione non sembra vivere un momento di grande unità: non teme che a prevalere siano i partiti anti-Ue?
«L’Unione Europea ha già vissuto momenti di grande difficoltà nel corso della sua storia, è nel suo Dna. Ma è sempre riuscita a trovare la forza e l’unità per andare avanti. È ovvio che bisogna lavorare per dare risposte concrete ai cittadini. Dobbiamo essere bravi a recuperare quelli che sono sempre stati i valori fondanti dell’integrazione europea, trasferendoli però nella realtà dei problemi di oggi: penso alla politica nel Mediterraneo o al tema delle sanzioni alla Russia. E ancora: quale protagonismo deve avere l’Italia in Europa? Va avanzata una soluzione alternativa a quella portata avanti negli ultimi anni dai movimenti antieuropeisti. Tutto ciò va riproposto con più forza e determinazione».
A proposito di unità e di risposte concrete: sulla distribuzione dei migranti l’Ue è ben lontana da un accordo.
«Se ognuno va per la sua strada diventa difficile, se non impossibile, trovare una soluzione ragionevole per tutti e che salvaguardi gli interessi di tutti. In Parlamento ci siamo occupati più volte della questione. Il problema di fondo è cambiare il regolamento di Dublino che non risponde più alle esigenze del particolare momento storico che stiamo vivendo. I cittadini non sono più disposti ad accettare un’Europa ferma, immobile sui grandi problemi. Vogliono un’Unione che sia solidale con chi fugge dalle guerre e dalle persecuzioni, ma che sia intransigente con coloro che non hanno diritto a entrare o a rimanere in Europa. È evidente che nessuno Stato, da solo, può fronteggiare un’ondata di tali dimensioni. Serve una strategia comune per fermare le partenze e impedire agli scafisti di mettere a rischio la vita di migliaia di persone. Diversamente, a prevalere sarà la logica dell’ognuno per sé, con la chiusura delle frontiere nazionali e tutto ciò che ne deriverebbe: un salto indietro di 60 anni».
Per adesso, però, pare che sia questa logica a prevalere. Come dare, allora, nuova linfa al progetto europeo?
«Bisogna partire dalle esigenze dei cittadini: la lotta contro il terrorismo, la lotta alla disoccupazione e la protezione dell’ambiente sono le tre aree in cui, in media, i tre quarti degli europei si aspettano un’Europa più presente. Guardi, l’Europa è imprescindibile. Possiamo, e a volte dobbiamo, criticarla per quello che non fa, per la lentezza di alcune decisioni, per la mancanza di solidarietà sulla questione migranti. Ma non mettiamo in discussione il principio che solo insieme possiamo continuare a generare benessere e a mantenere la pace sul Continente. Indubbiamente c’è ancora qualcuno che continua a vedere l’Unione Europea come una inutile e costosa burocrazia che “ruba” sovranità ai governi nazionali. Ma in realtà è vero l’opposto. Mi spiego meglio: quello che ha un costo non è l’Europa ma la non-Europa. Per restare in tema: la mancanza di azioni comuni tra Stati membri sul fronte migranti si traduce in una perdita di efficienza stimata intorno ai 1.600 miliardi di euro, l’equivalente del Pil italiano. Il populismo euroscettico sbaglia semplicemente diagnosi e, spesso, anche la cura».
Torniamo in Italia. Il Mezzogiorno continua a spendere poco e male i fondi europei: come invertire la rotta?
«Evitando gli errori del passato può essere un ottimo punto di partenza. Dobbiamo uscire dallo schema che ha visto le Regioni italiane usare i fondi europei per finanziare principalmente sagre paesane e piccole festicciole o, peggio ancora, per creare consenso elettorale. Serve invece una programmazione seria, che punti da un lato a dare coerenza ai vari progetti e dall’altro che punti alla sostenibilità nel tempo delle opere realizzate. Le faccio un esempio: serve a poco finanziare 100 singoli eventi nell’ambito delle ferie agricole. Molto meglio, invece, finanziare un progetto per la realizzazione di un’azienda agricola che crei posti di lavoro nel tempo».
I dati statistici disegnano un Sud da cui si continua a emigrare. Serve un piano straordinario per il rilancio economico del Mezzogiorno?
«Guardi, il Sud non ha bisogno di interventi emergenziali o dettati da particolari circostanze del momento. Il Sud ha bisogno di invertire la rotta e di dare un segnale di forte discontinuità con il passato: un Mezzogiorno periferia economica del Paese non conviene a nessuno. I dati Svimez e Eurostat non fanno altro che certificare una realtà ben nota a tutti ma che stranamente, fino ad oggi, fa fatica ad entrare nelle priorità dell’agenda politica del governo».
Intanto il divario tra Nord e Sud Italia si allarga invece di diminuire.
«Non c’è da meravigliarsi, purtroppo. Quello che succede al Sud non dipende dalla storia dell’Ottocento o è colpa della sfortuna, ma è frutto di scelte politiche ben precise. Le faccio un esempio: la spesa pubblica corrente, tra il 2008 e il 2017, è scesa del 7% al Sud mentre nel resto del Paese è rimasta invariata. La conseguenza è stata quella di avere meno servizi, tanto per le imprese quanto per i cittadini. Il sistema universitario del Sud ha subito pesanti politiche di definanziamento, per non parlare dell’offerta di trasporto pubblico: a Milano dal 2008 al 2015 è cresciuta del 13% , a Roma è scesa del 21%,a Napoli addirittura del 36%. Tutto questo non avviene per sfortuna o per colpa della storia, ma per scelte politiche».
Insomma, la questione meridionale è attuale più che mai, ci pare di capire.
«Attualissima, seppur seppellita negli ultimi anni nell’indifferenza. Perché affrontarla significherebbe interrogarsi sulle scelte politiche da compiere. E invece in questi ultimi anni c’è stato un costante ridimensionamento dei finanziamenti relativi ai servizi, quasi sempre a danno delle regioni meridionali, compreso il nostro Molise».
I dati Eurostat sull’occupazione fotografano una situazione preoccupante, tanto per il Sud quanto per il Molise.
«Dobbiamo rimboccarci le maniche e lavorare sodo tutti, nessuno escluso. L’ho già detto: non esistono differenze partitiche quando c’è in ballo l’interesse di un’intera regione. Certo, dobbiamo farlo con attenzione, cercando di sfruttare al meglio la nostra posizione di regione “cerniera” tra Abruzzo, Campania, Puglia e Lazio. È fondamentale programmare lo sviluppo di comune accordo con le regioni limitrofe, facendo leva sulle risorse messe a disposizione da Bruxelles. Condivido l’idea del segretario della Uil Boccardo quando parla della necessità di agganciare la ripresa puntando soprattutto sull’industria e sulla spinta della spesa pubblica».
Da quali provvedimenti ripartire per spingere la leva dell’occupazione e della crescita in Molise?
«Queste sono scelte che spettano al governo regionale, ci mancherebbe. Ho fiducia nel presidente Toma e sono convinto che saprà fare un ottimo lavoro per lo sviluppo e la crescita della nostra regione. In generale, penso che occorra lavorare su tutto ciò che può aumentare la competitività del nostro territorio e arrestare lo spopolamento, una vera e propria piaga generazionale. Penso all’esigenza di ridurre l’enorme divario infrastrutturale che, insieme all’elevatissimo tasso di disoccupazione e il crollo degli investimenti pubblici, rischia di compromettere seriamente la già precaria capacità produttiva delle nostre aziende».
Più investimenti e risorse per le infrastrutture, quindi.
«Un grande piano di infrastrutture avrebbe ricadute sulla competitività delle imprese e del turismo. Occorre realizzarlo attraverso un’azione coordinata tra settore privato, istituzioni europee, governo nazionale, regione ed enti locali. A tre condizioni ben precise, però: certezza di risorse pubbliche, semplificazione delle procedure decisionali e rapidità di esecuzione. Realizzarlo significherebbe collegare territori a centri urbani, periferie a città, il nostro Molise all’Europa. È la precondizione per costruire una società inclusiva e ridurre i divari. È un discorso che vale anche per la banda larga, ovviamente. Un’adeguata dotazione infrastrutturale rafforzerebbe l’importanza della nostra posizione geografica come ‘porta del Sud’, dandoci quella centralità che oggi non abbiamo».
lu.co.

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