La Corte d’Appello di Campobasso ha confermato la condanna a carico di Michelangelo Bonomolo per peculato nell’ambito del filone ‘spese pazze’ dei gruppi. Ieri l’udienza, all’esito della quale è arrivato il verdetto.
Pure la pena comminata dal collegio è la stessa del Tribunale: due anni e sei mesi di reclusione, interdizione dai pubblici uffici e risarcimento alla Regione – difesa in giudizio da Giuseppe De Rubertis – da definirsi in altra sede.
La prima condanna per l’ex consigliere regionale dei Comunisti italiani, a fine settembre 2016, quando si concluse uno dei primi processi nati dall’inchiesta della Guardia di Finanza, coordinata dal procuratore Nicola D’Angelo, sulle spese dei gruppi consiliari tra il 2006 e il 2011. A Bonomolo la Procura contestava acquisti o rimborsi per 31mila euro: fondi utilizzati per fini diversi e non riconducibili alla specifica destinazione di legge. Nel mirino del pm D’Angelo erano finiti pranzi, abbonamenti a riviste e anche un manifesto funebre. Nel corso della requisitoria in Tribunale il pubblico ministero chiese una condanna a quattro anni di reclusione, riducendo a 17mila euro la lista delle spese sostenute con i soldi del gruppo in maniera irregolare. Il pronunciamento dei giudici, dopo due ore di camera di consiglio. A Bonomolo fu inflitta anche l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni.
In Corte d’Appello Bonomolo era difeso da Oreste Campopiano e Nicola Trofa. «Non mi spiego – commenta Campopiano – le ragioni della conferma della sentenza di primo grado. Ritengo, invece, esistano fondati motivi che avrebbero portato alla sua riforma. Per questo motivo, appena avremo lette le motivazioni, decideremo sul ricorso in Cassazione. Personalmente – aggiunge il legale termolese – sono convinto già adesso che ci siano».
Le motivazioni del verdetto saranno depositate dai magistrati entro tre mesi.

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