C’erano tutti ai funerali di Francesco Saverio Borrelli. Tutti gli uomini di Mani Pulite. Tutti gli uomini che sono passati alla storia per aver cercato di estirpare il sistema della corruzione e delle tangenti dall’Italia.
E c’era anche lui: Antonio Di Pietro. È entrato in tribunale a Milano. Un saluto a Gherardo Colombo e poi dritto al picchetto d’onore. In ginocchio con gli occhi gonfi di lacrime ha voluto salutare per l’ultima volta il suo capo indossando la toga. Gliela hanno prestata. Lui, che l’aveva lasciata in quel pomeriggio del 6 dicembre del 1994 per evitare «di essere tirato per la giacca». Un pomeriggio impresso nella mente, mandato in onda chissà quante volte in tivvù. Un pomeriggio che ha fatto la storia.
Antonio Di Pietro era lì. C’erano i giornalisti e le telecamere che l’hanno continuato ad inseguire, ma niente. È da sabato che tutti provano ad avere o attendono una sua dichiarazione sulla scomparsa di Borrelli, ma ancora una volta l’ex ministro ha preferito non parlare. E poi l’abbraccio ai familiari di Borrelli, a Francesco Greco e al magistrato Alberto Nobili.
Una squadra, il simbolo della lotta al malaffare, tutta presente per accompagnare in spalla il capo verso il suo ultimo viaggio. Ai funerali nella Basilica si Santa Croce a Milano c’è anche Sergio Cusani, l’imputato storico di Mani Pulite.
Ancora una volta tutti protagonisti. Ancora una volta per scrivere un’altra pagina di storia con le parole di Gherardo Colombo che ancora risuonano spaventosamente e consapevolmente nella mente: «Sono finite le nostre indagini, ma Tangentopoli non ha cambiato niente dell’Italia, la corruzione è rimasta, magari con caratteristiche diverse. Il famoso ‘resistere, resistere, resistere è stato un invito a tutta la cittadinanza a rivolgersi veramente alla Costituzione che ha 70 anni, ma che è ancora una promessa e non la realtà».

Foto: Ansa

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