Un vero e proprio esercito di angeli che quotidianamente si prende cura dell’altro, senza guardarne la carta d’identità o il passaporto. Una famiglia, di certo parecchio numerosa: circa 600 i volontari che ogni giorno, d’inverno e d’estate, nei giorni normali come in quelli di festa, si preoccupano di preparare il pranzo e la cena agli ospiti. Dal lunedì alla domenica inclusa. Si alternano in cucina i gruppi coordinati dai responsabili che si preoccupano della spesa, del menù e delle varie incombenze di ogni mamma o padre di famiglia. Come l’ascolto, la condivisione di pensieri e preoccupazioni, la voglia di trovare insieme soluzioni, il vicendevole conforto. Una magia che accade ogni giorno, da oltre sei anni. Che si rinnova senza clamore, che non conosce la vetrina mediatica ma solo gli sguardi sinceri di chi conosce bene il valore della condivisione, dell’aiuto. Di chi ne ha fatto un impegno, una testimonianza di vita. Ieri pomeriggio, alla Mensa degli Angeli di via Monte San Gabriele, in occasione della Terza Giornata mondiale dei Poveri, la Caritas diocesana – che l’ha messa su in quello che era un asilo nido, creando cucina e sala da pranzo, la stanza dell’amicizia dove la mattina è possibile fare colazione, bagni, ripostigli, magazzini e persino qualche alloggio per chi ha necessità di un posto letto – ha organizzato un incontro di riflessione – al quale è intervenuto padre Giancarlo Bregantini – sulle tante povertà presenti nella società, con le quali ci si confronta quotidianamente ad ogni livello. Tutti insieme, davanti ad una tazza fumante di tè a qualche pasticcino – naturalmente tutto preparato dal gruppo di lavoro di turno, coordinato dalla tenace Elisa – per parlare di come esserci ancor di più, per gli altri che spesso sono invisibili. Come lo era il 58enne che l’altro giorno è precipitato dal quarto piano del Cardarelli: uno di famiglia, che spesso si appoggiava alla Casa degli Angeli, non solo per mangiare, anche per trovare quell’accoglienza che lo avrà fatto sentire meno solo. «È successo anche martedì – dice Colomba, una delle responsabili della mensa, donna energica che però si lascia andare alla commozione mentre ne parla – è arrivato qui, ha chiesto di potersi lavare. Era tutto tumefatto, forse era caduto. Ci siamo subito attivati, abbiamo preso vestiti puliti e lo abbiamo rifocillato. Ma poi… è andato via. È da ieri che non penso ad altro» confida. Lì, in quella sala accogliente, si siede l’umanità invisibile «ma i poveri devono essere accompagnati, non hanno bisogno solo di cibo» continua Colomba mentre accoglie i volontari e gli ospiti della Mensa, che con compostezza prendono posto, felici di questo momento di condivisione con chi si preoccupa di loro. Più di quaranta ospiti a pranzo e oltre venti a cena: questi i numeri giornalieri attuali dell’accoglienza. Che sono molto calati da quando sono stati chiusi gli Sprar: nigeriani e siriani (gli ospiti più numerosi) vengono a Campobasso per poter avere i documenti di cui hanno bisogno per muoversi, alcuni si fermano il tempo necessario e sono ospitati proprio lì, nei piccoli appartamenti ricavati dall’ex asilo nido. Altri decidono di restare, di provare a vivere in questa città che li ha accolti con umanità e sorrisi. Aumentano i nuovi poveri: anziani, divorziati, famiglie con bambini. Italiani, molisani, che chiedono un aiuto agli angeli di via Monte San Gabriele. Lì oltre ad un pasto caldo e a tanto affetto, c’è un ufficio legale. E poi un progetto per i senza fissa dimora – messo in piedi da Caritas, Regione e Comune di Campobasso – che offre autonomia a chi l’ha persa attraverso la disponibilità di alcuni appartamenti dove, piano piano, le vite degli ultimi cominciano ad uscire dal cono d’ombra dell’assistenza. E poi l’aiuto tangibile di chi dona: offerte economiche sì, ma anche cibo e tutto quello che serve per sostenere le attività della mensa. Quattro o cinque panifici, alcune pizzerie, caseifici, fruttivendoli. E poi Colomba, Elis, Maria Antonietta, Nicola e altre centinaia di volti, di mani forti che puliscono e tirano a lucido gli ambienti quando tutti hanno terminato il pasto.
Perché si cucina, si serve il pranzo o la cena e poi si pulisce tutto, come si fa in casa propria. E il giorno dopo ricomincia la catena dell’accoglienza. Un impegno che si regala agli altri ma soprattutto a se stessi: donare tempo e impegno è una medicina per lo spirito che fa miracoli.
È umanità che si propaga.
l.s.

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