Una studentessa, in una scuola di Campobasso, evidentemente spudorata e maliziosa, infila il telefonino sotto la porta del bagno e filma la professoressa nel momento di maggiore intimità personale. Ma non basta. Quelle immagini vengono divulgate perché tutti possano vedere e apprezzare “l’eroica” studentessa. Questo è solo uno dei tantissimi episodi che occupano la cronaca quotidiana.
La ragazza è stata, naturalmente, individuata e processata ma, non possiamo dire altro perché trattasi di minorenne.
Un tempo ci sarebbe stata l’espulsione da tutte le scuole del “regno”, come si diceva. E oggi?
Beh, adesso tra collegio di disciplina, avvocati difensori e genitori, il rischio punitivo è massimo qualche giorno di sospensione. Una deriva nei nostri ragazzi a cui non si riesce più a dare un argine e di cui, purtroppo, si parla poco.
Escono in “branco”, quasi a farsi coraggio. Si sentono, forse, soli e quindi vinti da mille violenze e devianze. Bullismo, alcool, sesso, droga e tanto altro.
L’età di consumo si è di molto abbassata per gli stupefacenti ed ora è tornata anche la micidiale eroina.
Noi grandi siamo in tutt’altre faccende affaccendati e non riusciamo più a capirli ed ascoltarli.
Ne parliamo con la dottoressa Rossana Venditti, impegnata nella procura del Tribunale dei minori.
Un magistrato equilibrato e competente. Una lunga esperienza nel Tribunale di Campobasso, come sostituto procuratore, dove era diventata un riferimento per tutti, prima di passare ai “minori”. Bastava dire “Venditti” per capire che si trattava di lei.
Apprezzata da tutto il mondo giudiziario ma qualcosa, forse, la delude e se ne va. Una sorpresa. Uno stupore per tutti. Ma perché? Vorremmo tanto saperlo e non solo noi.
La domanda, comunque, la facciamo e, come prevedibile, non risponde e non spiega. Semplicemente sorride e quegli occhi intelligenti sembrano illuminarsi.
Ci ha accolto nel suo ufficio con gentilezza ed allegria e sembra quasi una ragazza con quella eleganza sportiva. È piacevole cominciare l’intervista.
Perché è così difficile ascoltare i nostri giovani oggi?
«Intanto c’è da dire che loro parlano poco perché non sono incentivati a farlo, proprio perché non sicuri di essere ascoltati. Raramente gli adulti fanno lo sforzo di “scendere” al loro livello ed aprirsi al dialogo senza pregiudizi. Anche quando si vuole ascoltare, l’adulto si mette sempre, o quasi, in una posizione giudicante».
E la famiglia?
«È molto cambiata. Ma è difficile parlare di un modello unico perché il fenomeno è molto variegato. Ci sono, comunque, delle costanti: i genitori sono diventati più permissivi e molto distratti. Troppe volte non si accorgono del disagio dei figli che, sicuramente, traspare. Sono impudentemente distratti e non vedono, non si rendono conto di quanto il figlio sia preda di mille insicurezze e fragilità. Ecco, quindi, la droga e non solo. Il primo campanello di allarme è l’isolamento a cui segue, spesso, la violenza nelle reazioni. Questo è già indicativo perché significa che la barriera è stata superata. Quando arrivano da noi il risultato quasi sempre lo si raggiunge. I ragazzi, in pratica, aspettano solo di essere aiutati».
Qual è il percorso di recupero?
«I servizi sociali sono sicuramente la prima linea di intervento sociale. Segue il volontariato, dove prodigarsi per gli altri conferisce l’autostima. Un impegno culturale trasversale e tutti devono contribuire. Non basta il rituale incontro a scuola se non c’è l’inflessibilità. Si comincia con lo spinello e i genitori ritengono, spesso, questa esperienza quasi normale: lo fanno tutti. È l’inizio della fine».
Non sembra eccessivo questo allarmismo sulla droga in Molise?
«Assolutamente no. Può apparire così, invece è una forma di autodifesa. Qui tutti diamo più attenzione al fenomeno e questo può dare l’impressione di essere eccessivi. Se le forze dell’ordine e la procura molisana tengono continuamente accesi i riflettori sul fenomeno, siamo convinti di dover essere un argine a questo malsano commercio e uso. I genitori, come dicevo, a volte sono distratti e non solo. Gli spacciatori inducono i propri figli sulla stessa strada e questo è terribile».
L’alcool, il bullismo, il sesso, la ludopatia.
«Ha visto quante devianze? Ma, non sono mai fenomeni casuali. La divulgazione sui social su tutto quello che accade è un uso improprio di internet e dei social stessi. Entrambi funzionano come amplificatori. Se un’azione qualunque viene messa in rete, anche un semplice scherzo di cattivo gusto può perdere la sua dimensione e diventare per la vittima un martirio. Tutto è segno di un malessere, anche l’alcool che va diffondendosi sempre più è, ormai, un fenomeno fuori controllo. Per i ragazzi è meno inquietante perché diventa uno sballo nei weekend, almeno fino ad oggi. Il problema è che spesso assumono droga e alcool insieme perché si è sempre alla ricerca dell’esperienza più forte da sperimentare e da comunicare agli altri sui social. Qualsiasi cosa facciano, se non divulgata su internet, per loro è come se non avesse rilevanza. Vivono un’esistenza virtuale. Ore ed ore sui cellulari. Anche i bambini dai 5 anni in sui sono presi dai giochi virtuali. A volte scambiano, addirittura, la notte con il giorno. Non riescono più a dare un senso alla vita vera e il nostro impegno quotidiano “deve” essere quello di far capire che i giochi, le passeggiate, le relazioni e il confronto reale con le esperienze sono maestri di vita che non si possono eludere. Anche il sesso, che dovrebbe unire due condivisioni, due affettività, lo si sperimenta in maniera precoce senza aver mai conosciuto l’amore. È un po’ il fallimento delle famiglie di oggi: problemi di lavoro, difficoltà economiche e fragilità tra i coniugi ci portano molto oltre quei figli che abbiamo in casa e che non riusciamo più a vedere né ad ascoltare. Dovremmo tutti contribuire a far scoprire loro il vero senso della vita che è bellissimo e che non riconoscono più».
L’intervista finisce qui ma, naturalmente, ci sarebbe ancora tanto da dire. Ci preme, però, dare un dato: per la ludopatia ogni famiglia molisana spende in media 1.200 euro all’anno. Un bel problema.

Aldo Barletta

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