Questa storia nasce casualmente, leggendo le annotazioni di un prete zelante che svolse il suo ministero a Macchiagodena dal 1942 al 1947, don Giovanni Petrucci di Castellino sul Biferno. Mio padre scomparve la notte di San Lorenzo del 1983. Questa cronaca ha lo scopo di ridare notizie utili e vere sui tragici avvenimenti ed episodi della Seconda Guerra Mondiale che Macchiagodena, con il suo parroco, con le sue autorità civili, con il popolo e con i soldati polacchi ha vissuto direttamente con il sacrificio di persone e cose. Ogni città ed ogni paese d’Italia ricorda i propri morti, le proprie sofferenze.
Macchiagodena 13 ottobre 1943: le operazioni belliche della Guerra 1939-1943.
Dopo l’armistizio dell’Italia dell’8 settembre 1943 da parte del Governo Badoglio e del Re Vittorio Emanuele III, gli avvenimenti bellici hanno avuto tale sviluppo da far diventare tutta l’Italia un campo vasto di battaglia dalla Sicilia alle Alpi, contro i tedeschi non ancora arresi. Tutti i nostri paesi hanno dovuto vedere de oculis che cosa è la Guerra, come si fa, com’è terribile. Narra il parroco: «Nel nostro paese, prima che la V Armata Inglese arrivi a Benevento per Pontelandolfo, Morcone, ecc. e la VIII Armata arrivi da Termoli per Campobasso, molti automezzi tedeschi, intesi a preparare i piani di distribuzione all’avanzarsi del nemico, si fermano prima nella contrada Palermo di Macchiagodena, oltrepassando il piccolo ponte, scorrazzando frattanto per tutte le case della stessa contrada. Dappertutto vengono requisiti animali utili, oggetti di casa, nottetempo vengono al paese centro per sorprendere, per rivista d’armi, per osservare le case da capo a fondo, per prendere tutto quello che è di meglio in casa. Non è raro il caso di tentare di trascinare dalle case le giovinette per farne il proprio comodo. Dopo che si sono avvinazzati, si mettono a ballare e suonare per le case.
Il panico di tutto il paese cresce sempre di più man mano che si avvicinano le Armate a Vinchiaturo e i tedeschi, dopo aver minato il ponte della Vercella e quello della Roccia, sottostante al paese, si preparano a fuggire, lasciando la borgata dell’Incoronata, dove si erano fermati numerosi e la borgata di Caporio».

Macchiagodena 20 ottobre 1943: primo mitragliamento anglo-americano.
Alcuni camionisti tedeschi fermi sulla piazza del mercato sono stati avvistati dagli alleati, rifugiato sul campanile, salvo per miracolo, perché difeso dall’angolo delle mura massicce, il parroco osserva un’intensa raffica di mitraglie lanciata dagli aerei che perforano la tettoia, il soffitto della Chiesa, conficcandosi e anche bucando il coro di legno dell’Altare maggiore.
Il parroco ricorda: «Anche la casa del signor Rivellino Giovanni viene crivellata nelle parti esterne. Una raffica abbondante del forte mitragliamento si scatena sulla parte alta del paese, chiamata la Ciurcia. Una giovane, certa Giovanna Noviello fu Pasquale, fu leggermente ferita. Il mitragliamento più dannoso si notò sul giardino del medico dr. Nicola Bertone il quale mortalmente ferito mentre parlava con il contadino Cosmo Colozza fu Giuseppe e con Luisa Testa fu Giacomo della borgata Santo Stefano, spirava serenamente, dopo aver ricevuto tutti i Sacramenti. Altro mitragliamento avvenne nella contrada Carapone, dove una bambina di 12 anni, certa Maria Manocchio Di Donato anch’essa veniva ferita mortalmente. Complessivamente quattro feriti mortali. Presso la contrada Cervitto, la signora Rosa De Cesare (abitante presso via Baracche di Macchiagodena centro) tornando da Santa Maria, calpestando una mina tedesca, veniva ferita gravemente e veniva sottoposta all’amputazione della gamba, mentre la compagna Giulietti Antonia Maria Di Domenico rimaneva frantumata e lanciata in diverse parti sul ramo dell’albero sovrastante. Nella stessa giornata subiva la stessa morte, poco distante il signor Palermo Giovanni fu Rocco (contrada Santo Stefano)».
Macchiagodena 20 ottobre 1943.
Verso le ore 4 comincia lo scoppio delle mine ed il crollo dei ponti: il ponte di Giorgio, il ponte delle Baracche, della Prece della Vercella, mentre alle ore 5 della mattina si faceva crollare il ponte di ferro vicino alla ferrovia. 31 ottobre 1943: provenienti dalla Palestrina, invitate ed incoraggiate dalle persone del paese, le pattuglie inglesi entravano a Macchiagodena.
Distruzione dell’Abazia di Montecassino 15 febbraio 1944.
«Nella chiara luce di un cielo improvvisamente sereno, dopo tanti giorni di pioggia, 142 fortezze volanti e 87 bombardieri sganciarono 450 tonnellate di bombe, riducendo il Monastero di Montecassino a un enorme cumulo di macerie. Erano le ore 9:45, l’eco delle esplosioni non si era ancora perduta sul Monte che già uno stormo di 47 B25 e 40 B26 era sulle rovine fumanti del Monastero per sganciarvi altre tonnellate di bombe ad alto potenziale. Il bombardamento, salvo qualche brevissima interruzione, durò tutta la giornata e perché completa e rifinita in ogni suo particolare risultasse l’azione caparbiamente voluta dal generale Freyberg fra un intervallo e l’altro delle incursioni, l’artiglieria delle navi alla fonda del mare di Gaeta, non mancò di centrare il Monastero una fitta pioggia di granate. Su un bersaglio che non misurava più di 2 kmq nella speranza di poter fiaccare la resistenza tedesca, ed avere finalmente la via libera per Roma, erano state sganciate, in una sola giornata, 576 tonnellate di bombe (dal giornale cattolico L’Avvenire)»
Distruzione della città di Montecassino 15 marzo 1944: 74 anni fa l’inferno su Montecassino.
«Per cinque giorni il sole non brillò sulla città (così riferiva un soldato francese ex combattente sul fronte di Cassino)». Erano ormai mesi che ogni attacco alleato, con gravi perdite di uomini e di mezzi si infrangeva a Cassino, fortemente tenuta dai tedeschi. La Linea Gustav non cadeva. Il bombardamento di Montecassino fino ad allora era stato solo una piccola dimostrazione della loro potenza militare.
Venne quindi l’alba del 15 marzo e il segnale d’attacco era stato trasmesso puntuale e inesorabile per il destino della città di Cassino. Per quattro ore furono lanciate più di 1000 tonnellate di bombe e 200000 proiettili di artiglieria perché la città fosse ridotta in polvere per annientare, come si sperava, i soldati tedeschi ivi annidati.
Al bombardamento seguì un violento fuoco di artiglieria. 195.000 granate furono sparate su Cassino da 900 bocche dell’artiglieria di tre corpi di arma. Continuarono i bombardamenti corpo a corpo con le armi più diverse, seconda battaglia che durò cinque giorni.
19 marzo 1944.
Gli alleati, viste le gravi perdite subite, decisero di porre fine all’attacco per mantenere le piccole posizioni saldamente conquistate. Così, Cassino, come avvenne nel lontano 883, a un mese di distanza, seguiva le sorti di un Monastero a cui era sempre legato nel bene e nel male.
La presa di Montecassino per opera dei soldati polacchi: 18 maggio 1944.
Preparazione: il Reggimento polacco per tre mesi è fermo nel territorio di Macchiagodena. Nei primi giorni di febbraio era arrivato il Reggimento dei polacchi e aveva posto le sue tende nella contrada dell’Incoronata. Il parroco don Giovanni Petrucci ne aveva avuto la chiara conferma nella domenica del 6 febbraio quando numerosi soldati si erano recati alla Chiesa Madre di San Nicola per assistere alla Santa Messa in modo veramente esemplare. «Siamo rimasti colpiti tutti da un profondo senso religioso nelle domeniche successive, in modo particolare durante le solenni quarant’ore del 20-21-22 febbraio quando tutti i soldati hanno dimostrato un sincero Spirito di adorazione devotamente prostrati davanti a Gesù Sacramentato: da tutti erano additati (anche oggi molti lo ricordano) come esempio di preghiera coraggiosa, umile e profonda. Anche nelle feste pasquali del 29 aprile e giorni seguenti durante la benedizione delle case e quindi delle tende dei soldati si dimostrano cortesi, accoglienti e desiderosi della benedizione sacerdotale. Solo la stessa fede, la stessa religione che perfezionano i sentimenti umani possono spiegare la fraternità».
Partenza del reggimento polacco da Macchiagodena per Cassino: 22 aprile 1944.
Era l’ora del tramonto. Le campane delle Chiese facevano echeggiare all’intorno come dolce e mesta preghiera i rintocchi dell’Ave Maria. Tutti i soldati chiamati a raccolta avevano gremito la Chiesa dell’Incoronata. Davanti all’Altare della Vergine Incoronata, inginocchiati alla presenza di Gesù Sacramentato, presenti il Vescovo Castrensa Gaulina Giuseppe, i tre cappellani polacchi, il parroco di Macchiagodena, recitano le ultime preghiere, le litanie dei Santi; ascoltano commossi il breve Sermone del Vescovo, ricevono la benedizione eucaristica, quindi si torna alle tende per un modesto rinfresco tra i soldati, gli ufficiali, il Vescovo, i cappellani, il parroco, mentre uno dei cappellani sussurrava all’orecchio del parroco «domani si parte!!! E per sempre». Quanta accortezza in quel momento sul volto di tutti, ma quanta fede! Dal volto e dagli occhi di tutti traspare una nostalgia.
Il pensiero corre accorato in quel momento alla Patria lontana, alla Polonia che molti non rivedranno mai più, alle famiglie forse distrutte dal dolore della Guerra e dalla ferocia razzista, ai genitori, ai figli, alle consorti. A questi pensieri che assalgono la mente in modo impetuoso sopravviene però quasi per contrasto un sentimento di una volontà tenace per un impegno ed attaccamento ad un preciso dovere: servire la causa della libertà dei Popoli anche nel sacrificio estremo della propria vita.
Il giorno 18 maggio era il giorno fatidico segnato dal destino per la resa definitiva su Montecassino per mezzo dei polacchi comandati dal Generale Anders. Nel combattimento corpo a corpo del valoroso esercito polacco si libera il Sacro Monte, luogo di millenaria civiltà, di studio, di lavoro, di preghiera.
Ricordiamo tutti i 110 soldati polacchi sepolti con il loro Generale Anders ed il Vescovo Gaulina nel cimitero di Montecassino, sono simbolo del valore della Cristianità polacca che ha scritto pagine eroiche in difesa della libertà e della pace.
Costantino Kniahynicki

Il racconto di Costantino Kniahynicki, psichiatra e sindaco di Santa Maria del Molise, è stato inviato a Primo Piano da suo figlio Eugenio (assessore alla Cultura del Comune di Isernia), che aggiunge: «Mio nonno Eugenio Kniahynicki era tra quegli eroici soldati, sposò mia nonna Iapaolo Rosa Elvira di Macchiagodena, ebbe da lei quattro figli. Fece ritorno in Polonia solo negli anni ’70 quando mio padre, Costantino Kniahynicki divenne maggiorenne. Fu d’esempio per i suoi figli, che hanno trasmesso quegli stessi valori ai suoi nipoti ed oggi, discendente diretto di quell’eroe polacco di cui con vanto porto il nome, trasmetto quegli stessi valori ai miei figli».

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