Chi saranno il commissario e il sub commissario della Sanità? Antonio Federico elude la domanda e fa il grillino: «Le nomine – afferma il ‘portavoce’ pentastellato – sono sul tavolo del ministro dell’Economia e delle finanze in attesa dell’ok. Fino a quel momento non ha senso parlare di nomi».
Alla base di tanto mistero ci sono, secondo il deputato molisano, «motivi di riserbo che potrebbero aver richiesto anche gli stessi (commissario e sub, ndr). Fin quando non ci sarà l’ufficialità, i nomi non saranno resi noti. Su questo non posso farci nulla neanche io, che sono un “grillino della prima ora”».
Magari a breve qualche gola profonda che per diletto gironzola nelle stanze dei dicasteri farà trapelare qualche indizio. Ma, almeno ufficialmente, i molisani nulla possono sapere circa l’identità di chi nei prossimi anni muoverà i bottoni nella stanza della sanità. Una stanza importante, una stanza dove passa la maggior parte delle risorse del bilancio regionale.
Sul piano operativo, il futuro commissario potrà avvalersi della collaborazione del presidente della Regione, del suo governo, del Consiglio regionale. Ma la legge gli conferisce ampi poteri decisionali e discrezionali. Potrà tenere conto delle difficoltà oggettive a cui vanno incontro, per fare un esempio, i residenti del Molise altissimo che d’inverno dovranno raggiungere Isernia in caso siano colti da un accidente. Ma potrebbe anche decidere che il solo ospedale di Campobasso è sufficiente per erogare prestazioni a tutto il Molise.
Un presidente-commissario, anche il più sciagurato, è espressione di un elettorato che ha liberamente scelto e gli ha affidato la guida della Regione. Un amministratore votato dal popolo, nel bene o nel male, non può non tener conto delle richieste che provengono dal basso, dai territori.
Non può non ascoltare i comitati, le associazioni. I sindaci.
Un commissario-burocrate (i nomi che girano sono di prefetti o alti funzionari ministeriali) è invece abituato a ragionare con i numeri, a far quadrare i conti. A chiudere i bilanci in pareggio. Che poi è quello che per Roma conta.
Certo è che negli anni passati, non quelli recentissimi, la corda è stata tirata al limite, forse anche oltre. Le strutture pubbliche sanitarie per lungo tempo sono state considerate opifici che generavano posti di lavoro. Abbiamo vissuto epoche in cui c’erano reparti fotocopia (o inutili) nel medesimo ospedale, quindi, due primari, due équipe, due volte il personale, due volte le attrezzature. Si sono realizzate strutture mastodontiche mai entrate a regime, come il Vietri di Larino o il Santissimo Rosario di Venafro. Si è consentito ai medici in servizio di fare ‘politica’, non quella nobile, quella che ha fatto dell’Italia un grande Paese fino ai tempi della crisi.
Oggi il Molise paga il conto. E lo paga a caro prezzo, tant’è che non gli è stata concessa nemmeno la facoltà di gestirsi in proprio i debiti che negli anni ha accumulato.
Intanto il tempo passa. Il ministro Tria prima di apporre il nullaosta sulle nomine che – ci ha fatto sapere Federico – sono sul suo tavolo, vuole probabilmente aspettare la firma del Capo dello Stato in calce al Decreto Semplificazione in cui è contenuta la norma sull’incompatibilità tra presidente di Regione e commissario della Sanità. Norma voluta dal Movimento 5 Stelle e a cui gli alleati della Lega non hanno opposto la minima resistenza. D’altronde il caso riguarda Regioni come Campania (De Luca – centrosinistra), Lazio (Zingaretti – centrosinistra) e Calabria (Oliverio – centrosinistra), luoghi in cui il Carroccio non governa. In Molise, invece, il presidente e la sua giunta contavano sul sostegno di Salvini.
Toma ha incassato con eleganza il colpo, pur non sapendo chi sarà il commissario si è detto pronto a collaborare (e a controllarne l’operato). Ma nulla ha lasciato trapelare su se e quando deciderà di riconsiderare i rapporti con gli alleati della Lega. Continua a ribadire: «Agirò di conseguenza».
Le gole profonde, si sa, non sono solo romane: circolano un po’ in tutti gli ambienti. Dal quarto piano di via Genova, persone vicine al vertice della Regione lasciano intendere che Toma dal ministro dell’Interno (o da chi per lui) almeno il tentativo di provare a ostacolare il Movimento se lo aspettava. Qualcuno ricorda che quando Salvini chiese al presidente del Molise di nominare assessore il coordinatore regionale della Lega Mazzuto, il desiderio fu esaudito senza se e senza ma, in virtù di una intesa elettorale che aveva portato la coalizione di centrodestra a battere il Movimento 5 Stelle con un risultato superiore alle migliori aspettative.
Non ci sarebbe da meravigliarsi più di tanto dunque se Toma dovesse rimodulare l’esecutivo e tenere fuori la Lega. Nel partito di Salvini, tra l’altro, è in atto una guerra senza esclusione di colpi tra la capogruppo di Palazzo D’Aimmo Aida Romagnuolo e il coordinatore regionale Luigi Mazzuto. I coordinatori cittadini nominati nei mesi scorsi dalla Romagnuolo (che era coordinatrice provinciale di Campobasso, ma l’incarico le è stato revocato qualche settimana fa da Mazzuto) si stanno dimettendo alla spicciolata, puntando il dito contro l’assessore. Il partito è quasi fuori controllo. Ma nemmeno questo sembra essere un problema per Salvini.
Chi potrebbe trarre giovamento dalla fase particolarmente concitata è Michele Iorio. L’ex governatore in queste ore è alla finestra, osserva sornione. Dal giorno del ritorno tra i banchi del Consiglio, non ha fatto mistero del suo desiderio di far parte dell’esecutivo.
Iorio ha una personalità ‘ingombrante’ e un bagaglio di esperienza politica superiore a quella di tutti i consiglieri della legislatura in corso. Chi lo conosce definisce sospetto il silenzio di queste ore. Chissà, forse qualcosa sta covando.
Toma è avvisato. Anzi, Mazzuto e la Lega sono avvisati.
Luca Colella

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