Da una parte l’entusiasmo e l’emozione tipici di quei bimbi intraprendenti che, dopo aver preso posto tra i banchi nel primo giorno di scuola, sono convinti di poter cambiare il mondo.
Dall’altra, sugli scranni dell’opposizione, sorrisi accennati con grande fatica al passaggio di telecamere, macchine fotografiche e cellulari in modalità photo. E tanti volti scuri, neri!
Al centro, sindaco e giunta perfettamente calati nel ruolo. Gravina e i suoi assessori si sono presentati in Aula fin troppo seri, a dire il vero.
Tra il pubblico, difficile non notare il deputato Antonio Federico, il senatore Fabrizio Ortis e il consigliere regionale Fabio De Chirico. Più defilato il papà del primo cittadino.
Con il giuramento del neo eletto sindaco Roberto Gravina e con l’elezione del presidente del Consiglio comunale Antonio Guglielmi è iniziata ufficialmente ieri mattina l’era pentastellata a Palazzo San Giorgio. Temperatura oltre la media nella sala consiliare, ma non per l’animosità della discussione. Tutt’altro. Ieri, com’è giusto che sia, ha vinto il fair play. Aperture alla collaborazione dall’una e dall’altra parte, nel rispetto dei ruoli, «per il bene della città».
Il sindaco si è commosso e gli è scesa pura la lacrimuccia. Così com’è scesa sul volto di Antonio Federico. Federico in verità si è visibilmente emozionato in due occasioni: al giuramento di Gravina e alla proclamazione di Guglielmi a capo dell’Assise.
Ai più sconosciuto, Antonio Gugliemi, funzionario dell’Agenzia delle Entrate, è stato insieme al già consigliere regionale e oggi parlamentare tra i primissimi attivisti molisani. La sua adesione al Movimento risale ai tempi del vaffa day promosso da Beppe Grillo. Siamo nell’ormai lontano 2007. «Insieme abbiamo montato il primo gazebo a Campobasso – confida Federico -. Erano i tempi in cui ci guardavano tutti con diffidenza. Di strada ne abbiamo fatta tanta».
Prima che Gugliemi si insediasse, ha presieduto Margherita Gravina. Un nome che non dice nulla se non per l’omonimia con il sindaco. Un’altra anonima, politicamente e amministrativamente parlando, che tuttavia non si è fatta cogliere impreparata e ha finanche sorpreso per padronanza di linguaggio e autorità.
Bene pure il presidente Guglielmi. L’approccio con il Consesso è stato misurato, concreto e convincente.
Nel primo banco a sinistra, il gruppo del centrodestra. Salvatore Colagiovanni, eletto vicepresidente vicario del Consiglio, e Alessandro Pascale quelli meno abbattuti. Complice, probabilmente, la lunga esperienza, hanno, più degli altri, dispensato sorrisi e saluti e scambiato chiacchiere con i cronisti.
Comprensibilmente dispiaciuta la candidata a sindaco Maria Domenica D’Alessandro.
Scuri in volto e, almeno apparentemente, frastornati, Alberto Tramontano e Carla Fasolino: evidentemente ancora non hanno smaltito la delusione per la sconfitta. O, più verosimilmente, per la proporzione della sconfitta.
A seguire, dopo il banco del centrodestra, quello del centrosinistra. Moderatamente rassegnati e meno tristi i quattro consiglieri, tra cui il sindaco uscente. Nella stessa postazione è stato allocato Louzi El Khatir, 63enne originario del Marocco, consigliere straniero aggiunto. Louzi, nella sua disarmante modestia, considerando il terribile contesto in termini di integrazione che il Paese sta vivendo, è quanto di meglio la recente tornata elettorale ha portato in dote.
Resta solo da capire se le facce da funerale dell’opposizione – di molti consiglieri di opposizione – siano la normale conseguenza della sconfitta o è subentrata la consapevolezza che la città ha inteso voltare pagina, definitivamente.
Ciò non vuol dire che l’amministrazione Gravina farà sicuramente bene. Tutt’altro. Ma è evidente che gli elettori del capoluogo, mostrando grande coraggio, hanno preferito il salto nel vuoto ai salti della quaglia.
Poiché «una risata salverà il mondo», alla prossima seduta qualche sorriso in più, possibilmente spontaneo, non guasterebbe.
Anche perché l’eventuale gara di rivincita si terrà tra cinque anni. E cinque anni scuri e tristi, oggettivamente, Campobasso non li merita.
Luca Colella

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