La dieta mediterranea riduce il rischio di malattie cardiovascolari, ma solo se la seguono le persone ‘economicamente più forti’.
Risultato sorprendente, dato in chiaroscuro che dal punto di vista sociale fa molto riflettere, che viene fuori da una ricerca condotta dall’Irccs Neuromed su oltre 18mila persone adulte reclutate nell’ambito dello studio ‘Moli-sani’ e pubblicata sulla rivista International Journal of Epidemiology.
Che la dieta mediterranea offrisse vantaggi consistenti per la salute cardiovascolare era noto, ma ora lo studio Neuromed, condotto dal Dipartimento di Epidemiologia e prevenzione, diretto da Giovanni de Gaetano, rivela che i benefici di questo modello alimentare sono fortemente condizionati dalla posizione socioeconomica delle persone. In pratica, a parità di adesione alla dieta mediterranea, la ricerca ha evidenziato che la riduzione del rischio di patologie cardiovascolari si concretizza solo nelle persone che hanno un livello di istruzione elevato e in chi ha un reddito familiare più consistente. Nessun beneficio significativo è stato invece riscontrato nelle classi sociali più deboli.
Marialaura Bonaccio, ricercatrice del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione del Neuromed e primo autore dello studio, spiega: «La novità del nostro studio è di aver documentato per la prima volta che il livello di istruzione e il reddito sono in grado di modificare nettamente i vantaggi potenziali della dieta mediterranea sulla nostra salute cardiovascolare. In altre parole, per quanto una persona a basso reddito possa seguire la dieta mediterranea in maniera ottimale, non avrà gli stessi vantaggi di una persona che segue la stessa dieta ma dispone di un reddito maggiore».
Cosa c’è alla base di questa disparità? «A parità di adesione alla dieta mediterranea, i gruppi socialmente più avvantaggiati riportavano una serie di indicatori di buona alimentazione migliori rispetto alle persone meno abbienti – precisa Licia Iacoviello, capo del Laboratorio di Epidemiologia molecolare e nutrizionale dello stesso Dipartimento – Ad esempio, a parità di consumo dei prodotti tipici della dieta mediterranea, l’alimentazione delle persone con alto reddito e un livello di istruzione maggiore, risultava più ricca di antiossidanti e polifenoli, oltre a presentare una maggiore diversità in termini di frutta e verdura consumate. Non solo. Abbiamo riscontrato differenze socioeconomiche anche per quanto riguarda il consumo di prodotti integrali e i metodi di cottura degli alimenti. Sempre a parità di punteggio di adesione alla dieta mediterranea, le persone con una migliore posizione sociale tendevano a consumare relativamente più pesce e frutta secca a guscio e meno carne e derivati. Tutto questo ci spinge a credere che sia la diversa qualità dei prodotti della dieta mediterranea consumati a fare la differenza e non solo la loro quantità o frequenza di consumo».
«I risultati di questo studio ci devono far riflettere seriamente sullo scenario socio-economico della salute – commenta Giovanni de Gaetano – Le disparità socioeconomiche sono in crescita, e si manifestano anche a tavola. Non solo le persone tendono in generale a seguire sempre meno la dieta mediterranea, ma i più deboli dal punto di vista socio-economico consumano prodotti teoricamente ottimali ma di fatto con minori qualità salutistiche. Non basta più dire che “la dieta mediterranea fa bene” – conclude de Gaetano – se non garantiamo che faccia bene a tutti!».

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