Dicono che in Italia l’eutanasia sia vietata, dicono che la dolce morte non appartiene ad un Paese dove la Chiesa la fa da padrone. Provate a chiedere ad Agnone dove la pratica, senza che nessuno la vietasse, è stata applicata all’ospedale ‘San Francesco Caracciolo’. Sulla carta una struttura di area disagiata riconosciuta a livello nazionale, ma che di fatto subisce giorno dopo giorno tagli indiscriminati i quali la stanno conducendo ad una morte certa. Tra l’indifferenza di una popolazione e amministratori locali anestetizzati da balle ciclopiche puntualmente ripetute, alla stregua di un copione teatrale, dai soloni che vivono a Campobasso, dove non si contano ospedali e cliniche private. E chissenefrega se si muore in mezzo ad una bufera di neve, oppure si partorisce a bordo di un’ambulanza, ed ancora se un dializzato di notte, quando non c’è reperibilità di un nefrologo, non raggiungere per tempo il centro causa lo stress fisico e mentale a cui è stato sottoposto. L’importante è tagliare nastri insignificanti davanti a tv e taccuini per poi gonfiare il petto e promettere riaperture fantasma o l’immissione di nuovo personale, in realtà mai giunto a destinazione.
«I medici ad Agnone non vogliono venire», una frase diventata la barzelletta d’Italia come se un lavoratore potesse rifiutare l’ordine impartito dal padrone. La realtà è un’altra con il disegno ben impostato. Ovvero iniettare a piccole dosi il veleno letale affinché il paziente, in questo caso il Caracciolo, muoia senza nemmeno accorgersene. Una morte indolore come si fa con un malato terminale sottoposto, per l’appunto, ad eutanasia. Che in questo caso corrisponde a non rimpiazzare medici e infermieri in pensione, trasferimenti e tagli ai servizi.
L’ultima ago avvelenato è quello delle cucine che dal primo febbraio chiuderanno i battenti. Un servizio eccellente che per forza di cose deve essere azzerato. Così è stato deciso dall’alto. E non bisogna transigere. Il tutto tra il silenzio generale di chi amministra la cosa pubblica. Se non fosse per gli organi di stampa l’ultima notizia, quella delle cucine, sarebbe passata sottotraccia come d’altronde desidererebbero lorsignori. Peccato per loro che c’è ancora chi sa rompere le classiche uova nel paniere. Ma non è tutto, perché a denunciare il prossimo e probabile colpo mortale ci pensa don Francesco Martino, prete in trincea per la salvaguardia del Caracciolo, che sottolinea come da qui alla fine del 2020 diversi medici andranno via.
«La percezione è quella di essere in una fabbrica in dismissione perché entro il 2020 quattro unita mediche, chi per un motivo chi per un altro, cesseranno il servizio. Di conseguenza avremo un reparto senza medici che sarà chiuso come del resto l’intero presidio». Don Francesco, che notoriamente non ha peli sulla lingua, punta il dito sulla classe politica regionale. «Tanti annunci, tanti proclami, ma fatti concreti zero. Anche i famosi accordi di confine con l’Abruzzo che potevano salvarci non sono stati mai attuati e firmati. L’assessore alla Sanità abruzzese, Paolucci solo un anno fa mi chiedeva perché il governatore Frattura non li avesse firmati. All’epoca si nascose dietro il fatto di avere bisogno dell’autorizzazione del tavolo tecnico, nel frattempo è arrivato Toma che non so quali idee abbia in merito al rilancio della sanità pubblica». Infine don Martino invita a seguire l’insegnamento arrivato da Atessa dove l’ospedale ha ricevuto dalla Regione il riconoscimento di struttura di area disagiata. «Un grande plauso va al sindaco Borrelli che ha saputo coinvolgere tutti: dai sindaci del territorio, agli imprenditori, ai consiglieri regionali creando un movimento di opinione non indifferente che ha portato i frutti sperati. Ad Agnone cosa è mancato? Una volontà politica di risolvere il problema. Siamo disuniti, disorganizzati, siamo rancorosi e pensiamo a coltivare l’orticello personale e che il quieto vivere sia la cosa migliore. E questo è il risultato».
mdo

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