Terza sentenza di condanna a carico di Rosario Renzetti, la seconda al Tribunale di Larino, e questa volta si tratta di omicidio preterintenzionale. La vicenda è nota, si riferisce al pestaggio del tunisino Saiffedine Chaffar, avvenuta il 4 novembre 2007. Renzetti, assieme al fratello Michele, assolto in appello, venne processato per le lesioni provocate al magrebino, dalle quali il giovane nordafricano non si riprese più, fino a perdere la vita sette anni e mezzo dopo. Proprio la morte del tunisino, allora 39enne, arrivata a pochi giorni dalla condanna di appello a due anni e 10 mesi, indusse la Procura di Larino a riaprire il caso e a formulare a carico del proprietario del bar di Guglionesi l’accusa di omicidio. Il processo, con rito abbreviato condizionato, è iniziato lo scorso 17 luglio e dopo un paio di rinvii per legittimo impedimento dell’imputato, si è chiuso ieri alla seconda udienza dinanzi al giudice per le udienze preliminari Cristina Quaranta. Il Pm Ilaria Toncini ha chiesto ben 14 anni di carcere, per omicidio volontario. Il difensore di fiducia, Joe Mileti, assieme a Marisa Berarducci del foro di Vasto, invece si è battuto per derubricare l’accusa e il gup Quaranta alla fine ha accolto la tesi dell’omicidio preterintenzionale, condannando Renzetti a 6 anni e 6 mesi, inglobando però i due anni e 10 mesi di pena già comminati dai colleghi della corte di Appello di Campobasso. Tuttavia, lo stesso Mileti si è detto soddisfatto solo in parte del verdetto. Il rito abbreviato era condizionato all’acquisizione di perizie mediche e atti del primo processo. Esito dell’udienza preliminare svoltasi nel febbraio 2017 dinanzi al giudice Maria Paola Vezzi, al tribunale di Larino. Il processo bis a carico del barista di Guglionesi, tornato alla sbarra dopo la morte del tunisino Saiffedine Chaffar, che cessò le sue sofferenze pochi giorni dopo la sentenza con cui lo stesso Renzetti in appello ottenne uno sconto di pena consistente. Udienza preliminare che c’è stata dopo un rinvio a giudizio decretato nel novembre 2016 e l’udienza aggiornata a metà dicembre per un legittimo impedimento. A curare la parte civile l’avvocato Giuseppe D’Urbano. Una vicenda che dura da oltre dieci anni ormai, quella che vede coinvolta la famiglia Renzetti a Guglionesi e che si riaprì clamorosamente. Non tanto per la decisione della Procura di Larino, ma per il capo di imputazione su cui si è dovuto difendere Rosario, uno dei due fratelli (l’altro, Michele, non è coinvolto in questa appendice giudiziaria) accusati di aver pestato a sangue il tunisino Saiffedine Chaffar, all’epoca 31enne, durante la sera del 4 novembre 2007. Due processi, di primo e secondo grado, con esiti contrapposti, e poi a far precipitare di nuovo la posizione di Rosario Renzetti la morte dell’immigrato, avvenuta il 7 aprile 2015, una decina di giorni dopo la sentenza di appello che aveva ridimensionato in modo altrettanto profondo le responsabilità dei Renzetti. Sin dal decesso di Chaffar, che mai si era ripreso dalle conseguenze di quella torbida notte, divenuta poi tragica, la Procura di Larino aveva voluto vederci chiaro sulla morte del nordafricano, con la sorella del 39enne a chiedere giustizia. Nonostante ci fosse una sentenza di appello decretata appena il 26 marzo, che aveva assolto da ogni accusa Michele Renzetti e riformato in maniera significativa la pena inflitta al fratello Rosario, per l’aggressione avvenuta il 4 novembre 2007 (altri due sono stati condannati a 8 mesi per favoreggiamento), gli inquirenti disposero l’autopsia sulla salma del magrebino, eseguita peraltro 31 giorni dopo. Una scelta che mirò a verificare, laddove scientificamente ancora possibili, le eventuali correlazioni tra i colpi subiti sette anni e mezzo prima e l’aggravarsi delle condizioni del 39enne, sino a comportarne il decesso. Saiffedine Chaffar subì una emorragia cerebrale dopo la lite avvenuta in pieno centro, vicino al bar di uno dei fratelli e da allora non si riprese più, finendo in uno stadio terminale. Sofferenze poste fine dal destino all’1.20 del 7 aprile. Così si è arrivati alla richiesta di rinvio a giudizio del 18 luglio 2016 e alla condanna di ieri.

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