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Il lastricato di epoca romana presso il ponte di corso Amatuzio, una delle più importanti scoperte archeologiche degli ultimi decenni in Molise, continua a vivere il suo triste destino di degrado e di abbandono totale. Ci è stato riferito che un gruppetto di turisti veneti giunti qualche giorno fa in città con l’intento di ammirare il sito così come viene illustrato dalle cartoline in vendita nelle tabaccherie è rimasto deluso e scandalizzato non solo dalle condizioni pessime in cui il decumano si trova, con erba alta che nasconde il lastricato, con acqua che ristagna e puzza, habitat naturale per fastidiose zanzare e moscerini che possono proliferare in modo esponenziale, ma anche per l’intera area completamente trascurata senza alcuna cura per accogliere i visitatori.

Non è la prima volta che succedono episodi simili di persone che, arrivate a Bojano per ammirare quell’antica autostrada romana, vanno via amareggiati e piuttosto critici nei confronti della città e dell’amministrazione che governa per il modo in cui questo importante e prezioso patrimonio archeologico viene trascurato. Una risorsa che potrebbe essere sfruttata per promuovere le bellezze del territorio e messa in rete con le altre peculiarità di cui la città è ricca, al fine di creare un percorso turistico che crei economia per le attività commerciali cittadine. Purtroppo non c’è alcun interesse da parte dei governanti locali a dare impulso al turismo e di curare l’immagine della città.

La strada lastricata rinvenuta casualmente nell’agosto 1998 durante i lavori di sistemazione del fiume Calderari, attende ancora una sistemazione definitiva. Essa rappresenta una delle testimonianze archeologiche più interessanti dell’antica Bovianum del periodo del Municipio Romano. La sua esistenza era nota già nel secolo scorso, lo storico bojanese Crescenzo Gentile ne aveva parlato in maniera dettagliata nel suo libro inedito: “La vera storia di Bojano”. Nel 1925, infatti, scriveva: “Un tratto di strada larga 40 palmi (m. 10,67), fatta da più strati di pezzi irregolari, vi si ravvisavano le rotaie. Si osservano ai suoi fianchi grandi edifizi diruti formati da pezzi irregolari leviati e di enorme grandezza. Tra questi ve ne erano dei tagliati a grandi archi, come per servire a delle porte. Poco al di sotto del ponte (ponte S. Agostino, ndr) si rinvenne un tratto della strada Numicia formata similmente da più strati di pezzi irregolari. Veniva da occidente passando per la pianura e dirigendosi all’attuale abitato. Formando in questo luogo un angolo, s’immetteva di nuovo verso oriente come per andare alla volta di Vinchiaturo. (…) Scavando le fondamenta del ponte sul Biferno nella strada Rettilineo, nel 1912, vennero alla luce – e riconvertiti – colonne di pietre, vasi, cocci, monete ed altro, nonché una tubatura in piombo, da est verso ovest, che fu ritenuta la continuazione di quella rinvenuta nel 1827 nello scavare i fondamenti del ponte in contrada Calderari”.

Notizie queste riportate anche da Giambattista Masciotta nella pubblicazione “Il Molise dalle origini ai nostri giorni”. Purtroppo a Bojano le amministrazioni comunali che si sono avvicendate nel tempo non hanno mai dimostrato interesse e attenzione per il ricco patrimonio archeologico presente nel sottosuolo, sono state fatte solo chiacchiere e promesse, come del resto il seminario che fu organizzato sul Decumano. In quella circostanza furono illustrati anche progetti di riqualificazione dell’area e di valorizzazione del sito, sembrava di essere alla vigilia di una svolta per una sistemazione definitiva di quell’area archeologica. A tutt’oggi le condizioni del decumano sono solo peggiorate, a distanza di 14 anni dal suo rinvenimento non si è stati in grado neanche di eliminare il problema dell’infiltrazione dell’acqua e del suo ristagno nell’enorme vasca, situazione che poteva essere risolta sfruttando semplicemente il dislivello esistente tra quell’area e il letto del fiume in località Terre Longhe, con un sistema di tubi che partendo dal sito archeologico avrebbe potuto scaricare l’acqua più a valle senza utilizzare pompe idrauliche e quindi consumare energia elettrica.

 

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