Quando devi raccontare la morte improvvisa e assurda di un giovane uomo, nel pieno della sua forza e della ripresa da un incidente al cuore che lo aveva messo a dura prova quattro anni prima, si corre il rischio di esagerare nello spaccio di retorica. Pericolo che non sfiorò Menandro, commediografo dell’antica Grecia, quando scrisse: “Muore giovane chi è caro agli dei”. Caro agli dei: vallo a spiegare ai bambini di Mariano Credico, a sua moglie Caterina, ai suoi allievi della squadra di rugby che aveva orgogliosamente messo su in Molise e ai suoi tifosi. Non puoi. Perché Mariano lo conoscevano tutti, e di uomini alti, grandi, grossi nella stazza e nel cuore come lui non ce ne sono più.
Caterina ad un anno dalla perdita del marito, è continuamente al lavoro per trasmettere i messaggi per i quali Mariano nel corso della sua vita, tra sacrifici, rinunce e alla fine anche sofferenza, si è prodigato.
Lei continua a vederlo con la giacca della tuta della sua squadra di Rugby, perché Zazza è diventato il campione di tutti. Il condottiero di quanti, tra amici, compagni e rivali sono rimasti orfani della sua umanità. L’istruttore che, come vuole il rugby, è seduto ai piani alti per osservare che tutto vada “come deve andare”.
Ora Caterina ha firmato il primo memorial in ricordo di Mariano, il “Zazza day”.
Da oggi a San Giovanni in Galdo, sei squadre si ritroveranno sul campo – preparato e ordinato per il rugby da coloro che erano gli allievi di Mariano prima che lui morisse – pronte a gareggiare in una straordinaria giornata di sport, familiarità e unione.
A rincorrere la palla ovale saranno: Torre Annunziata, Afragola, Salento, Sulmona, Spartacus e gli Hammers locali.
È passato un anno e Caterina sul suo dolore assicura: «Non va via. È impensabile che possa sparire». Attende anche che l’inchiesta coordinata dalla Procura di Campobasso si concluda. Quella morte è «strana». Sulla giovane vita di Mariano qualcuno ha sbagliato e nel registro degli indagati ci sono diversi nomi, da quello del medico di base fino agli operatori della Cardiologia del Cardarelli.
Intanto Caterina dopo aver raccolto fondi con l’associazione “Talenti e Artisti molisani” per acquistare sei defibrillatori destinati a scuole e associazioni sportive del capoluogo; dopo aver ideato e finanziato autonomamente il murale che oggi campeggia sull’ex Stadio Romagnoli (e che a breve sarà fra l’altro rinnovato) in ricordo di suo marito; adesso ha voluto strappare ancora la distanza da ciò che era prima di un anno fa.
Il memorial che da questa mattina porterà a San Giovanni in Galdo centinaia di persone, restituisce infatti un pezzo, un piccolo pezzo di Zazza. Che in Molise ha portato il rugby. Lui, precursore unico e assoluto di questo sport nella nostra regione. Disciplina che amava perché – rispecchiando la sua personalità – unisce e non divide. Diverte e non annoia. Galvanizza e non deprime.
Caterina, perché Zazza day?
«La famiglia del rugby lo aveva soprannominato così. Perché come l’ispettore Zenigata di Lupin indossava l’uniforme della polizia e perché come Zenigata era un gigante dal cuore buono. Nel rugby danno un soprannome a tutti. Anche io, per esempio, ero e sono Margot».
Oggi tocca a te trasmettere quello per cui Mariano aveva lavorato per anni: il rugby, il cuore, la passione, l’umanità di Mariano!
«Sì, è durissima. Ma ci provo. Lo faccio per mio marito e per i miei figli. Per Michele, soprattutto, il più grande che è una copia del suo papà e che come il suo papà ama il rugby».
Hai organizzato qualcosa di straordinario a San Giovanni in Galdo, portando avanti quel disegno di sport a cui Mariano teneva tanto ottenendo riconoscimenti importanti nel mondo del rugby che in Molise, fra l’altro, era uno sport sconosciuto.
«Lui aveva iniziato a raccogliere i frutti della sua passione, coltivata con pazienza e abnegazione per tanto tempo. Poi la morte. Oggi sento il dovere di dover trasmettere ancora quel suo messaggio di condivisione e solidarietà che solo il rugby è capace di inviare».
Come si svolgerà la giornata?
«Alle 11.30 è prevista la Santa Messa, alle 13 il pranzo delle squadre, alle 14.30 inizia il torneo. Oltre a questo ci sarà anche una gara a 15 ‘rugbyold’ alla quale parteciperanno tutti i giocatori storici, ex compagni di Mariano, che giocheranno insieme dopo tanto tempo che non si vedono. Infine ci saranno le premiazioni e il famoso ‘terzo tempo’. Una serata animata dalla straordinaria musica di Charles Papa».
Hai coinvolto nel tuo progetto un’intera comunità, quella di San Giovanni in Galdo di cui Mariano faceva parte!
«La mamma di Mariano con gli Amici del Morrutto si stanno occupando della preparazione di tutte le pietanze tipiche da offrire agli ospiti. Il campo da rugby è stato allestito dai ragazzi che allenava Mariano e si sono prodigati tantissimo. Inoltre, moltissime persone di San Giovanni in Galdo hanno messo a disposizione le proprie case per ospitare giocatori e visitatori».
È un tuo modo per rendere omaggio a Mariano e alla sua passione per il rugby.
«Il rugby era il suo sogno. La sua ambizione? Tornare a Campobasso e mettere su una squadra di rugby da allenare. Cose che, step by step, ha realizzato. Oggi, infatti, quello che lui voleva esiste. Peccato non ci sia più lui a godere di soddisfazioni e traguardi raggiunti con tanto sacrificio e pazienza».
Come era la sua vita?
«Sempre a mille. Devo dire però che se non fosse accaduto quell’incidente 4 anni fa che lo costrinse a subire un intervento per l’inserimento di una valvola meccanica, nessuno avrebbe conosciuto il vero Mariano. Forse neanche io. Un uomo capace di grandi gesti d’amore. Protagonista di una generosità quasi mistica».
Oggi che pensi?
«Che qualcuno te l’ha ucciso. E non l’accetti».
Ti senti sola?
«La mia vita senza di lui è inevitabilmente vuota. Mi manca il suo caos, il suo baccano, mi manca quando rientrava dall’allenamento storico del giovedì sera dopo il ‘terzo tempo’ e la festa continuava anche a casa. Mi manca tutto di lui. Nel rugby ho trovato una grande famiglia dalla quale ho avuto sostegno e comprensione. Per il resto, invece, preferirei non parlare».
Michele, vostro figlio, gioca a rugby. Ricorda il papà?
«Vivamente. Lui ha sofferto più di Mia che era ed è ancora molto piccola (adesso ha 5 anni). Ma Michele ricorda il primo incidente che costrinse Mariano in ospedale per quasi un anno. E quindi da allora ha sempre vissuto con il terrore di perdere il papà. Quando lo scorso anno Mariano è finito al Cardarelli per quella dannata febbre, ricordo che tutti pensavamo fosse una fesseria tant’è che io e i miei figli andammo il giorno di Corpus Domini in ospedale a salutarlo. Portai anche loro, proprio perché ero certa che ormai il peggio lo avevamo passato 4 anni prima. Mi sbagliavo: il peggio doveva ancora venire. Oggi Michele è un bambino fiero quando tutti gli dicono che somiglia al papà e penso che anche se non gli fosse piaciuto il rugby, lo avrebbe praticato ugualmente proprio per l’amore che lo lega a suo padre».
Il giorno dopo quella tragedia, ti sei ritrovata tu e i tuoi due bambini. Cosa vi siete detti?
«Ho pensato a loro. E ho chiesto: ‘Cosa vi renderebbe felice in questo momento?’. Mi hanno risposto: ‘Un labrador’. Quindi un anno fa è arrivato Charlie, un labrador color miele, grande e grosso come Mariano. Affettuoso, caciarone e generoso come Mariano. E loro non se ne staccano mai. Un toccasana».
Tu?
«Io continuo a guardare la porta di casa sperando che si apra. Ma so bene che è un modo assurdo di esorcizzare dolore e rabbia».
CN

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