Questa è stata la chiacchierata più piacevole. Quella più umana. Quella con Raffaele Pagano, non con il questore di Campobasso.
Sessantacinque anni da poche ore, Pagano il 30 settembre lascerà la divisa per godersi la meritata pensione. Per festeggiare con lui il compleanno, il vicario, il capo di Gabinetto, quello dell’Anticrimine e quello della Mobile. Quelli delle altre divisioni. Un brindisi sobrio ma intenso. Poi di corsa di nuovo tutti al lavoro.
Oggi alla cerimonia di saluto che ha organizzato in questura prenderà parte il capo della Polizia, il prefetto Gabrielli. Una presenza prestigiosa per dare senso ai 45 anni trascorsi in Polizia.
«Una presenza prestigiosa – dice Pagano – soprattutto per la città».
Raffaele, oggi possiamo concederci la licenza di chiamarlo così, prima di arrivare in Molise ha lavorato in Campania, Puglia, Calabria, Abruzzo, Friuli, Toscana. A Roma. La moglie sempre con lui. Uno dei figli ha seguito le sue orme. È funzionario di Polizia a Milano. L’altro è un affermato avvocato.
I ruoli della Polizia li ha vissuti tutti. Dalla frontiera, alla Polfer. La Mobile. L’ordine pubblico.
Carattere vulcanico, sempre molto diretto. Inflessibile, forse troppo.
Interlocuzione fluida, squisita, semplice. Nelle sue frasi non manca mai la parolina in dialetto campano/salernitano. Una peculiarità che lo rende ancora più simpatico. Senso dell’umorismo al punto giusto. Grande lavoratore. In una delle prime interviste Primo Piano scrisse che era lui ad alzare la saracinesca la mattina e ad abbassarla la sera. E da allora così è stato.
Quando si insediò aveva un obiettivo: riportare la Polizia tra la gente. «Meno agenti negli uffici e più pattuglie». Lo ha fatto. Gli sarà costato fatica, ma ci è riuscito.
Raffaele porta con sé un bagaglio notevole di esperienze. Parlare con lui è sempre un piacere. La Polizia ce l’ha nel sangue. Anche quando l’amministrazione gli ha conferito l’incarico di questore, lui ha continuato a fare il poliziotto. Basti pensare che non molto tempo fa, mentre era a passeggio per le vie del centro di Campobasso notò due donne di etnia rom che si aggiravano davanti ad una vetrina con fare sospetto. Non chiamò i suoi uomini. Si appostò e ne seguì i movimenti. Il fiuto non lo aveva tradito. Una delle due entrò nel negozio, afferrò una borsa che era nella vetrina e fuggì. Le tenne d’occhio senza farsi scorgere e quando entrambe erano convinte di averla fatta franca le fermò.
Dopo 45 anni di onorata carriera nessun dubbio: «Non avrei potuto fare altro nella vita. La Polizia per me ha rappresentato tutto. Ho dato tanto per questa professione. Oggi, tirando le somme, posso affermare che ho ricevuto altrettanto».
Raffaele, cosa le lascia Campobasso, la provincia, il Molise in generale?
«Come ogni inizio anche questo è stato in salita. Era necessario riorganizzare gli uffici, fare i conti con le carenze di organico, far tornare gli agenti tra la gente. Il ruolo che ho svolto qui mi ha affinato ancora di più nell’equilibrio, mi ha aiutato a scoprire cose inedite sotto molteplici aspetti. In una piccola realtà come questa devi occuparti di tutto: dalla caldaia che non funziona al piantone. Hai però la possibilità di mantenere vivo il contatto con la gente. Il Molise mi ha dato la possibilità di continuare a fare il poliziotto e non il burocrate. Di stare tra la gente, di ascoltare il negoziante o la vecchietta che mi riconosceva e mi fermava per strada solo per un cortese saluto o per raccontarmi qualcosa che non andava. Qui ho conosciuto persone belle, straordinarie. Ai molisani dico: avete la fortuna di abitare in una terra straordinaria e incontaminata. Preservatela a qualsiasi costo».
Ha fatto cenno ad una strada in salita, qualche frizione soprattutto ai primi tempi con le sigle sindacali.
«Lascio nella certezza di aver fatto fino in fondo il mio dovere. È chiaro, e guai se così non fosse, che ognuno la vede a modo suo. Ho messo alla base di ogni mia azione il senso del dovere. Talvolta ho preso decisioni che sapevo sarebbero state accolte non proprio con felicità. È necessario però distinguere il funzionario dello Stato dalla persona. Ho fatto sempre gli interessi dello Stato e quindi dei cittadini. Mi considero un poliziotto, un uomo di strada. Ciò in più di qualche circostanza mi ha indotto a ricredermi, a ravvedermi. E quando è capitato non ho avuto difficoltà a fare un passo indietro. Ho cercato di agire come avrebbe fatto un buon padre di famiglia. Non mi sono mai sentito un capo ma un uomo di esperienza. Ho seguito tre direttrici: umiltà, onestà ed esempio, orientando sempre il servizio in favore delle classi più deboli. E per deboli intendo non solo le persone più sfortunate, quelle sole, gli anziani. È debole lo studente che in età adolescenziale marina la scuola per andare a fumare lo spinello. È debole il giovane che non trova occupazione e viene tentato dai guadagni facili».
Questa terra è o non è un’isola felice?
«Ho servito lo Stato in Calabria, in Puglia, in Campania… L’isola la rende felice chi la abita. Ho notato subito nei molisani il coraggio di denunciare chi delinque. La stragrande maggioranza delle persone è sana, integerrima. Denuncia al minimo sospetto. Con il passare dei giorni, dei mesi, quando ho cominciato a prendere contatto con la gente, mi riferisco al barista, piuttosto che il barbiere o il pensionato, ho notato che nessuno chiedeva mai nulla per sé. Un fatto straordinario, che ha fatto scattare in me un’ulteriore molla. Ho dato il meglio nell’interesse dell’istituzione che rappresento. Colgo l’occasione per ringraziare gli editori di Primo Piano Molise che hanno subito e senza remore messo a disposizione le pagine del giornale per le campagne che ci siamo inventati per le truffe agli anziani, i furti. Guardate che atteggiamenti che per voi possono sembrare scontati, altrove non lo sono affatto. Quando, ripetutamente, ho chiesto ai cittadini di scriverci, telefonarci, tenerci sempre al corrente quando notavano movimenti strani, mi hanno ascoltato, lo hanno fatto e continuano a farlo. Ecco, così l’isola sarà sempre felice. Le prime sentinelle del territorio siete voi. Non cambiate mai, non prestate mai il fianco alla criminalità che pure prova, sia dalla Campania e sia dalla Puglia, a penetrare. Le forze dell’ordine da sole non bastano».
Ai molisani cosa dice?
«Di avere sempre fiducia nelle istituzioni. Gli uomini passano, l’istituzione no. Le strutture sono sane. Per carità, la mela marcia è ovunque. Ma le risultanze investigative ci consentono di poter esprimere giudizi lusinghieri sullo stato di salute della provincia di Campobasso e più in generale della regione».
Quarantacinque anni. Sono tanti.
«Sono abbastanza. Le posso assicurare che non mi sono annoiato un solo giorno».
Da dove è iniziata la storia di Raffaele Pagano in Polizia?
«Ero un giovane neodiplomato. Entrai all’accademia il 1° ottobre del 1973. Il primo incarico nel ’77: Quarto reparto Celere di Napoli. La Polizia negli anni è molto cambiata. Allora era tutto diverso. Non esistevano i riposi, i turni erano massacranti. Da Napoli partivamo per Roma o per dove era necessario. Quindici, anche 20 giorni consecutivi di servizio».
Ricorda qualche operazione più delle altre?
«Una l’ho vissuta con particolare apprensione e altrettanta passione. Circa tre mesi di indagini, appostamenti. Le tecniche allora erano diverse. Non esistevano i cellulari, i mezzi per intercettare erano meno efficienti. Ero a capo della Squadra Mobile di Salerno. Avvenne il sequestro del figlio di un importante imprenditore dell’Agro Nocerino Sarnese. Chi lo prese lo vendette ad una famiglia calabrese che a sua volta lo vendette ad un altro sodalizio criminale sempre in Calabria. Riuscimmo a ricostruire tutti i movimenti. Lo tenevano in Aspromonte. Il ragazzo fu liberato e noi, complice l’ottimo rapporto con la magistratura, arrestammo tutti i componenti delle tre bande».
Nulla a che vedere con Campobasso.
«Ho servito lo Stato in posti molto diversi dal Molise. Erano anche tempi diversi da quelli odierni. Tra Campania e Puglia ho indagato su qualcosa come 1.600 omicidi, forse anche di più. Avevamo anche più morti al giorno».
Ha mai avuto paura?
«Sempre! La paura è nell’uomo. La paura ti aiuta a essere razionale, ti aiuta a non commettere errori».
È mai rimasto coinvolto in un conflitto a fuoco?
«È successo, certo. Ricordo in particolare l’arresto del boss della Camorra Alfredo Boccalupo. Era latitante. I suoi aprirono il fuoco. In verità lo avevamo previsto. Riuscimmo ad immobilizzare tutti senza gravi conseguenze. La mia filosofia è che il poliziotto deve agire con il cervello e con la penna. Quando si arriva a ricorrere alle armi è sempre pericoloso. Per se stessi e per gli altri. Perciò anche l’azione che può sembrare la più sciocca va studiata, concordata. Il gioco di squadra è fondamentale. Dietro anche al più incallito dei criminali c’è una persona. E delle persone bisogna sempre avere rispetto. La vita è un bene troppo prezioso. Il grilletto va premuto solo quando non c’è altro da fare. Forse le sembrerà strano, ma anche i criminali mi hanno aiutato a capire cose che non avrei mai capito».
Rimpianti?
«Beh, come in tutte le medaglie anche questa ha un rovescio. Ci sono stati giorni difficili, complicati. Ma quando un’esperienza volge al termine è bello tirare le somme delle cose migliori. Vede, questa lettera mi è appena arrivata. Non si sorprenderà se le dico che mi sono commosso. L’ha scritta un ispettore che ha lavorato con me a Bari. Non l’ho visto né sentito più. Mi scrive dopo 21 anni perché ha saputo che sto per lasciare il servizio attivo e ha avvertito l’esigenza di mandarmi i suoi saluti e di ringraziarmi. Scrive che i miei insegnamenti gli sono stati preziosi. Questo è un regalo straordinario, porterò sempre con me il ricordo di quel giovane ispettore che oggi è un poliziotto adulto, capace e competente. L’ho appena sentito al telefono, l’ho fatto rintracciare tramite la questura di Bari. Un’emozione bella e inattesa».
Tornerà in Molise?
«Può esserne certo. Abito in provincia di Salerno, non in Brianza o in Trentino. Qui mi sento come a casa. Ecco, colgo l’occasione per ringraziare tutte le donne e gli uomini della Polizia della provincia di Campobasso, le istituzioni tutte per la squisita e proficua collaborazione. I prefetti Di Menna e Federico. Le altre forze dell’ordine. I dirigenti scolastici, gli insegnanti, gli studenti con cui la questura ha avuto un rapporto straordinario. L’Università con cui ho avuto un feeling intenso e proficuo. Ringrazio e saluto tutti i cittadini che ho avuto la fortuna di incontrare e conoscere e tutti quelli che vivono in questa straordinaria terra, ricca di valori e abitata da persone perbene. Gente che lavora in silenzio, fa sacrifici. Gente che fa dell’Italia un Paese migliore».
Cosa farà dal 1° ottobre Raffaele Pagano?
«Intanto finalmente torno a casa. Qualcosa me la inventerò per continuare ad essere utile al prossimo. Sicuramente un po’ di sport, nuoto e jogging ogni giorno. Mi dedicherò alla pesca e a tutte quelle cose che mi fanno stare bene. Se dovessero capitare occasioni, se qualcuno ritiene che la mia collaborazione possa essere utile, magari anche qui in Molise, non mi tirerò indietro. Per adesso mi godo il mare della mia terra. Almeno per qualche giorno. Poi non escludo che scriverò un libro. Ci penso da tempo. Avrei tantissime cose da raccontare».
Nelle numerose chiacchierate con Primo Piano un argomento era più ricorrente degli altri: la videosorveglianza. Va via e le telecamere ancora non sono state installate.
«La Polizia ha fatto tutto quanto era nella proprie competenze. Purtroppo quando i procedimenti sono pubblici, la velocità delle azioni è sempre molto relativa. Mi auguro e sono certo che molto presto il progetto sarà attuato. È importante per chi come la Polizia è chiamata ad assicurare i malviventi alla giustizia, ma è ancor più importante per la sicurezza dei molisani».
Come si dice in questi casi? Arrivederci, a presto?
«A presto mi piace».
Raffaele Pagano, il questore Pagano, ha avuto sin dal suo insediamento un rapporto schietto e sincero con gli organi d’informazione. Non si è mai sottratto e ha sempre messo a disposizione le informazioni necessarie per scrivere o raccontare le cose. Aggiungere altro è superfluo: i direttori e le redazioni di Primo Piano Molise e Teleregione dicono semplicemente «grazie, di cuore».

luca colella

Un Commento

  1. Arianna Di Biase scrive:

    Ma come: era appena arrivato e ora già se ne va? Una volta che avevamo uno valido in Questura adesso dobbiamo lasciarlo? Capisco che il motivo questa volta è di natura superiore, ma possibile che tutte le persone valide sfiorino la nostra regione come meteore?
    Che cosa dire? Che innanzi tutto la città e l’intera provincia di Campobasso devono un enorme ringraziamento al questore, per il modo con cui ha riorganizzato gli uffici e la maggiore presenza di gente in divisa che ha fatto percepire ai cittadini. Ci si augura che venga uno che ne continui e ne rafforzi l’azione: Campobasso ha bisogno di persone sveglie!!

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