«Cari amici, in questi giorni si avvicina per me un traguardo importante, la pensione: dopo 45 anni nell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza è un passo difficile da affrontare e che induce inevitabilmente delle considerazioni che voglio condividere con le persone che tanto hanno avuto parte del mio percorso, perché questo nostro è più di un mestiere, è un impegno che pervade ogni spazio fisico e mentale.
Credo profondamente in questo lavoro in cui ho investito tutte le mie migliori energie e la mia buona fede, con un solo obiettivo, che è il medesimo di quando a 19 anni sono entrato all’Accademia di polizia e per cui ho giurato alla Repubblica: servire la comunità presso cui lavoravo. Comunità che non sarebbe poi stata necessariamente la mia, perché come altri colleghi mi sono trovato anche per molti anni lontano da “casa”, intesa come coacervo di affetti ma anche di abitudini radicate, persone conosciute, territorio vissuto quotidianamente. Invece, ogni luogo dove sono andato è diventato il mio, per spinta emotiva e per dedizione professionale. Come viene richiesto a molti funzionari di polizia, anche io sono stato chiamato a tanti incarichi diversi, dalla polizia giudiziaria alla gestione dell’ordine pubblico: ho investito da ultimo, dopo tanti anni nella repressione dei reati, nella prevenzione -altro bastione della nostra attività- cioè in quel presidio del territorio che rende la vita delle persone migliore.
In questo mio percorso ho incontrato colleghi di ogni qualifica, da cui ho imparato e a cui ho dato il mio sostegno in una osmosi in cui, con umiltà, ho preso e, ritengo, ho dato, per crescere come poliziotto e soprattutto come uomo: cosa voglia dire essere uomini per me si coniuga nei concetti di onestà, lealtà e desiderio di fare sempre del proprio meglio.
Così ho fatto fino all’ultimo giorno, con il mio carattere sempre teso al futuro e vulcanico, talvolta non alieno da asprezze, ma sempre connesso al cuore.
Devo ringraziare, per quanto sono stati questi anni, tutte le persone che mi sono state vicine.
In primo luogo sicuramente la mia famiglia che tra tutte le mie assenze ha patito con me gli stessi sacrifici, e questo mi porta a pensare anche a tutte le famiglie dei colleghi che in questi sono coinvolte, a volte anche drammaticamente perché il nostro è un lavoro che a volte induce al sacrificio supremo.
Devo ringraziare i colleghi, con cui in questi quarantacinque anni ho diviso fatiche e anche momenti esaltanti, ma con cui comunque ho fatto un pezzo di strada che, sommandosi ad altri pezzi, ha costituito il mio percorso di vita: ne sono nate amicizie ferree, indissolubili, cementate soprattutto in quelle circostanze in cui la vita di ognuno di noi dipendeva dall’altro.
Ringrazio anche i colleghi delle altre forze di polizia con cui spesso e felicemente mi sono trovato sulla stessa “lunghezza d’onda”, superando -come si conviene a chi crede che dare sicurezza sia un lavoro complesso e di equipe- ogni seppur piccolo “conflitto di giubba”, mirando ad un interesse che ho sempre creduto superiore ai particolarismi, il bene del cittadino.
Ho incontrato amministratori pubblici illuminati che hanno inteso la Politica nel senso alto del termine e che al di là delle divisioni partitiche provano, in questa società sempre più complessa, a dare un contributo a rendere più dignitosa la vita dei propri concittadini.
Le sfide per noi poliziotti, lo sappiamo, si fanno ogni giorno più critiche, sia per la maggiore complessità della società che per la crescente aggressività della criminalità che per il peso della gestione del fenomeno migratorio: nel mio impegno quotidiano, secondo il mio carattere, ho parlato “alla pancia” delle persone con cui ho lavorato, per fare passare motivazioni e per amalgamare intenti e azioni e questo vorrei che restasse come parte del mio messaggio per chi continuerà a svolgere questo mestiere difficile ed entusiasmante: lavorate insieme, in maniera responsabile, per superare le difficoltà e le fatiche che queste sfide fanno necessariamente nascere.
Ho interpretato in modo “alto” il mio essere poliziotto, credo con equilibrio e lucidità, mantenendo la “barra dritta” per i miei uomini e nel loro interesse ma sempre anche per i cittadini e nel loro interesse, nella consapevolezza che gli interessi dei due interlocutori non possono e non devono mai essere confliggenti.
Esaltanti sono stati tutti i momenti della mia vita professionale nel piccolo come nel più grande, dalla cattura di un latitante al recupero per un bambino dei suoi giochi rubati in casa; altrettanto crude sono state le amarezze, che pure non sono mancate.
Ora però, tutto si conchiude in un cerchio in cui il dispiacere di lasciare questo lavoro bellissimo e difficilissimo -in cui vi prego di credere non avrei investito meno energie e amore se fossi stato un imprenditore privato- si lega dall’altro al sollievo di tornare ad una vita in cui non ci si sveglia la notte per un’emergenza e dove le responsabilità non ti fanno tremare le vene ai polsi perché dalle tue scelte dipende la vita delle persone, potendomi dedicare finalmente in modo pieno agli affetti e ad approfondire, o dovrei dire inventare, quegli hobby per i quali questo lavoro non lascia molto spazio.
Il bilancio è dunque variegato, tra soddisfazioni e dispiaceri ma comunque sostanzioso e ricco, segno che non è stato inutile l’impegno.
Pieno e senza rimpianti perché l’Amore per questa nostra Polizia io l’ho declinato nell’amore per tutti quelli che ne fanno parte. Ho infatti incontrato persone straordinarie e se ogni giorno di questi lunghissimi anni rimarrà scolpito nel mio cuore con la consapevolezza di una vita passata con la mente rivolta a quello che potevo fare nell’interesse della comunità, per questo devo anche ringraziare chi mi ha sostenuto, chi è stato al mio fianco, perché -come ho già detto- questo mio percorso l’ho fatto insieme a molti.
Devo però qui ricordare anche coloro con cui, talvolta, mi sono trovato a non condividere idee o strategie e penso che questa considerazione debba essere dell’uomo intelligente: anche i dissidi, infatti, mi sono serviti a meglio ponderare le scelte e le azioni. Se infatti mi sento di lasciare un ulteriore auspicio per ogni poliziotto, di ogni qualifica, è quello di provare a fare le scelte giuste: con questo voglio dire che se è vero che nessuno ha il possesso della verità ma ognuno ne detiene solo un piccolo pezzo, d’altro canto credere profondamente in quello che si fa ed avere come obiettivo il bene comune; continuare anche quando si sbaglia (e succede se “ci si butta nella mischia”, per dirla operativamente) però sostenuti dall’onestà intellettuale dall’entusiasmo e da una visione aperta e non pregiudiziale: allora l’ impegno con passione e sentimento redime tutto il nostro lavoro, anche quando sembra difficile anche quando sembra inutile.
A quel punto noi possiamo davvero essere la piccola goccia nel mare delle aspettative delle persone e nello spazio dell’eternità. E qualcosa resta.
“Provare a fare le scelte giuste” vuol dire che abbiamo preso la “valigia dell’umanità” dalle mani di chi ci ha preceduto e che ci viene data quando nasciamo, per fare la nostra parte, al massimo, che l’abbiamo portata per un piccolo o grande tratto per poi consegnarla a chi viene dopo di noi, sperando che il nostro contributo sia stato utile alla crescita di quel qualcosa che chiamiamo “essere collettivo”. Credo che questo costituisca l’essenza profonda del nostro essere Uomini tra gli Uomini, anche attraverso il lavoro bellissimo che abbiamo la fortuna di fare.
Un grande augurio a voi tutti di buona vita».
Raffaele Pagano

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