È stata tumulata nella mattinata di ieri, presso il cimitero di Campobasso, nel loculo che la mamma aveva acquistato e riservato per sé, nell’ora della sua morte, per essere vicina al marito, maresciallo dei Carabinieri scomparso alcuni anni fa, la salma del generale dell’Arma Gianluca Di Niro, originario del capoluogo regionale ma, per motivi di lavoro, residente a Roma, presso la scuola ufficiali ove è deceduto nella giornata di sabato.
È stato padre Giancarlo Li Quadri Cassini, parroco della parrocchia di Sant’Antonio di Padova, in qualità di vicario del Convento San Giovanni Battista, a somministrare la benedizione nei locali della sala mortuaria del luogo di culto cittadino (adiacenti il piazzale intitolato ad un altro carabiniere, Elio Di Mella, ucciso in un agguato di camorra), ove il feretro era giunto nella serata precedente proveniente dalla capitale, dove si era svolta la cerimonia funebre, trasportato dalla stessa impresa che aveva riportato nel Molise le spoglie del giovane caporalmaggiore dell’esercito, Alessandro Di Lisio, morto in Afghanistan otto anni fa, nel luglio del 2009.
Sono stati i lavoratori dell’agenzia locale di pompe funebri “La Monforte” di Domenco Clera ad occuparsi delle incombenze al cimitero, alla presenza dei familiari e di numerosi rappresentanti dell’Arma, locale e non, che hanno voluto rendere l’estremo saluto all’ufficiale scomparso prematuramente.
Aveva, infatti, solo 51 anni il generale Di Niro, che nel corso della sua brillante e folgorante carriera ha toccato numerosi centri, particolarmente dell’Abruzzo, al quale si sentiva felicemente legato, ma anche Reggio Calabria ove ha svolto un lavoro consistente e ricco di ottimi risultati nella lotta alla ‘ndrangheta.
Proprio nella regione confinante, una volta unita al Molise, Gianluca Di Niro, colpito da un male tremendo un paio di anni fa, e che l’ha condotto alla morte, ha trascorso gli anni più belli e significativi del suo radioso cammino al servizio dello Stato.
Pescara, che l’ha visto comandante provinciale per alcuni mesi del 2016, prima di lasciare per l’arrivo inatteso della malattia, che ha iniziato a produrre i primi effetti negativi, ma maggiormente la città di Chieti, che lo ha accolto felicemente nei primi anni del suo brioso percorso nell’Arma, sono state le sedi che in maniera profonda hanno segnato, in modo quasi indelebile, il suo tragitto professionale.
Ma il suo amore vero lo professava per la città natìa, appunto Campobasso, che gli aveva dato i natali oltre mezzo secolo fa, nel settembre del 1966. E lo testimoniava in modo viscerale per l’attaccamento ai colori rossoblù della squadra di calcio, ai quali riservava ogni cura, tenendosi costantemente informato sull’atteggiamento domenicale del “lupo”.
Ha portato con sé, nella bara, una sciarpa che i familiari non hanno voluto fargli mancare in segno di eterna affezione al club del cuore, appunto il Campobasso.
Pur vivendo distante dal capoluogo regionale, non ha mai negato le sue origini, anzi, ha sempre voluto avere notizie, non solo della formazione rossoblù, ma anche e soprattutto della città dominata dal castello Monforte, che raggiungeva appena gli impegni glielo consentivano.
Lascia la moglie, capitano dei Carabinieri in servizio a Roma presso la scuola ufficiali, e due figli maschi, studenti a Torino, la mamma e il fratello, quest’ultimo sottufficiale dell’Arma in servizio a Chieti, ma natìo, come la madre che viveva con lui, di Campobasso. m.d’a

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