È uno dei cavalli di battaglia del presidente dell’Assise civica di Campobasso Michele Durante, rimarcato prima del voto del 4 marzo e anche nel corso della campagna elettorale per le regionali: stop alle indennità di carica ai consiglieri regionale in regime di prorogatio. Sulla proposta – è in corso anche una raccolta firme in diversi comuni – interviene il capogruppo di Laboratorio civico Francesco Pilone, che bacchettai partiti «che fanno a gara a rincorre il modello grillino, populista e demagogico, scivolando nel ridicolo il più delle volte, sia nello scimmiottarlo che nel fotocopiarlo in maniera abborracciata e confusa». La proposta, per Pilone, «si erge ad essere la brutta copia di un “format” già consolidato e ben strutturato che ha fatto breccia ormai da tempo in larga parte dell’elettorato italiano e ultimamente molisano. Non solo, quella larga fetta di consensi è ormai folgorata dal sistema pentastellato che fa del concetto della riduzione dei costi della politica il suo baluardo principale sostenendo l’assioma che con la decurtazione dell’indennità di funzione a tutti i livelli si risolva il problema della fame nel mondo.
Dal punto di vista più strettamente tecnico-giuridico, invece, è doveroso, a mio avviso, soffermarsi sul concetto stesso del significato costituzionale dell’indennità di funzione (in questo caso parlamentare) che è prevista dall’articolo 69 della Costituzione, a garanzia del libero svolgimento del mandato elettivo». Ed anche lo Statuto della Regione Molise recita testualmente: «I consiglieri regionali entrano nell’esercizio delle loro funzioni all’atto della proclamazione e restano in carica fino alla prima riunione del nuovo Consiglio. Essi rappresentano l’intera regione senza vincolo di mandato”. Insomma, fino alla prima riunione del nuovo Consiglio, pertanto, i consiglieri regionali sono regolarmente in carica con tutte le loro funzioni e potestà, con i loro diritti e doveri.
«Se le funzioni restano fino alla prima riunione del nuovo Consiglio, anche in caso di “prorogatio” – loa domanda del civico – perché non deve essere garantita l’indennità di funzione? Se l’attività di un eletto, connessa anche alle sue responsabilità civili ed eventualmente penali per reati commessi in relazione alla sua funzione amministrativa, resta in piedi anche in regime di “prorogatio”, perché l’indennità di funzione, ribadisco legata allo status di eletto, non deve essere percepita?
Comprendo perfettamente che questa mia posizione, anticonformista ed in un contesto particolare come quello attuale, non attiri consensi né applausi, ma avverto in maniera convinta la necessità di esprimere alcune considerazioni. Chi fa politica ha il sacrosanto diritto-dovere di dirle certe cose, ma soprattutto ha il dovere di testimoniarle. E mi permetto di farlo, non essendo mai stato consigliere regionale e non potendolo essere (anche nell’aspirazione) per il prossimo futuro in quanto non candidato, e quindi non devo difendere né posizioni di rendita, né vitalizi e quant’altro.… ma inizio ad essere stufo di questa moda da “social bigottismo”, ribadisco demagogica, populistica e qualunquistica, che ormai imperversa ed eccita gli animi offuscando la centralità della Politica intesa come amore per la Polis e per la costruzione del Bene Comune».
Per Pilone «il problema di fondo, tornando alla proposta di legge regionale avanzata da Durante, è un altro, e consiste nel concetto stesso di “prorogatio”, inteso “filosoficamente” come proseguimento oltre il limite, e che va, a mio avviso, approfondito come tesi e va respinto come principio, perché presupposto “contra legem” tenuto conto che arbitrariamente prevede l’andare oltre il termine di scadenza naturale della consiliatura. Così come recita l’art. 3 della legge 17 febbraio 1968, n. 108, infatti, il legislatore ha già stabilito, come è noto, la durata quinquennale dei consigli regionali ed ha statuito il principio di discontinuità degli stessi (principio attenuato nella prassi a seguito dell’interpretazione fornita, nei vari anni, dalla Corte costituzionale).
È su questo, quindi, che va aperto un dibattito in grado magari di portare ad una sintesi di indirizzo la tematica in esame, capace di impedire l’arbitrio della “prorogatio”, se non dovuta a cause di forza maggiore equiparabili a quelle per il divieto di scioglimento delle Camere previste dalla Costituzione, attraverso una chiara presa di responsabilità politico amministrativa che veda il termine dei cinque anni alla scadenza precisa della consiliatura così come previsto dalla legge. Ma come accade spesso, si tende ad aggirare gli ostacoli, piuttosto che ad affrontarli e a rimuoverli».

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