Se gli italiani intonano con la mano sul cuore l’Inno di Mameli lo si deve ad un molisano, ad un eroe della Resistenza nato a Campobasso. Lo testimonia il verbale del Consiglio dei Ministri del 12 ottobre del 1946: «Il Ministro per la Guerra, in merito al giuramento delle Forze armate avverte che sarà effettuato il 4 novembre. Quale inno – si legge nel verbale a firma di Cipriano Facchinetti – si adotterà l’inno di Mameli. Si proporrà schema di decreto col quale si stabilisca che provvisoriamente l’inno di Mameli sarà considerato inno nazionale». Il 15 novembre 2017, dopo 71 anni di ‘provvisorietà’, l’Inno di Mameli, è diventato ufficialmente l’inno d’Italia. E questo dunque grazie ad un molisano. Facchinetti, infatti, nacque a Campobasso, in una casa di Corso Vittorio Emanuele, il 13 gennaio 1889, da Giovanni, agente di custodia delle carceri, e da Maria Pezzano. Città – che gli ha intitolato anche una strada – che abbandonò presto per trasferirsi insieme con la famiglia a Busto Arsizio. Iniziò giovanissimo sia il suo impegno politico nel partito repubblicano, sia quello giornalistico. Collaborò dapprima con Il Corriere democratico di Busto Arsizio e con Il Nuovo Ideale, per poi entrare a Il Cacciatore delle Alpi di Varese, di cui divenne direttore nel 1910. Espresse su quelle colonne soprattutto le sue posizioni irredentiste, occupandosi inoltre di problemi inerenti i diritti civili, di cui è esempio la campagna che intraprese nel 1911 a favore del divorzio.
Morì a Roma il 18 febbraio 1952. Antifascista ed esule nel 1940 fu condannato a trenta anni di carcere. Membro della Consulta, poi deputato alla Costituente. Fu ministro in due governi De Gasperi. Dal 1948 fu senatore di diritto. Dal 1947 al 1952 fu Presidente e Direttore generale dell’Ansa. Una targa ricorda il luogo della sua nascita.

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