La bomba l’ha lanciata ieri sera. Un avviso pubblico – datato 15 maggio e dunque in piena campagna elettorale – per la formazione di una graduatoria di idonei per l’assunzione a tempo indeterminato full time di 6 operatori alla Sea, Municipalizzata il cui cda è stato recentemente nominato da Battista con a capo Ginafranco Spensieri.
«Un fatto grave», ha tuonato la candidata sindaco del centrodestra Maria Domenica D’Alessandro. «La promulgazione di un bando che prevede l’assunzione di 6 lavoratori in seno alla Sea, società “in house” del Comune di Campobasso, evidenzia la deprecabile azione messa in campo dal centrosinistra e quindi dal candidato sindaco Antonio Battista e dalla sua coalizione a meri scopi elettorali.
Annuncio sin da ora che, in caso di vittoria del centrodestra, metterò in campo tutte le iniziative consentite dalla legge per accertare e verificare la legittimità e la regolarità di tutte le procedure concorsuali attivate anche presso il Comune».
Maria Domenica D’Alessandro auspica dunque che i cittadini di Campobasso non si facciano “illudere” da spot elettorali dell’ultima ora che appartengono a vecchi costumi perseguiti finanche dall’autorità giudiziaria.
Intanto lo scontro politico continua ad infiammarsi. Dopo le accuse mosse dal sindaco Antonio Battista e dall’aspirante primo cittadino a 5 Stelle Roberto Gravina, la leader della coalizione del centrodestra passa al contrattacco. «Non amo gli attacchi asserviti a meri scopi personali che nel caso specifico di questa campagna elettorale puntano – a quanto pare – a denigrare l’avversario (pessima azione) per galvanizzare, invece, il proprio io al di là dei risultati raggiunti in questi anni dopo aver avuto la possibilità di farlo.
Personalmente mi ritengo responsabile di ciò che dico non ovviamente di ciò che un mio eventuale interlocutore capisce e poi mi attribuisce.
Ho scelto, tuttavia, di replicare ad un paio di posizioni, rispettabilissime se non mi avessero accollato intenti mai palesati, che rischiano però di “avvelenare” un mio messaggio di legalità, sensibilità e precauzione rispetto a tematiche sociali che ci riguardano e che mi sono preoccupata di divulgare in merito al concetto di sicurezza a Campobasso.
Il sindaco uscente Antonio Battista mi accusa di proclamare la politica della paura, di essere irrispettosa in merito all’encomiabile lavoro condotto dalle forze dell’ordine nonché di strumentalizzare il concetto di insicurezza. E mi accusa a colpi di numeri e dati emersi nella relazione che la Polizia di Stato ha divulgato in occasione dell’anniversario dalla fondazione del Corpo.
Intanto la statistica non è una scienza esatta, né analizza la completa conoscenza di un fenomeno, si limita ad accertarne un andamento in un determinato periodo senza alcunché di definitivo.
Ma detto questo, il lodevole e irreprensibile lavoro condotto sul territorio da polizia, carabinieri e guardia di finanza è fuori discussione e in quanto figlia di un sott’ufficiale dell’Arma dei carabinieri, la mia considerazione in tal senso non potrebbe essere diversa.
Ma è un fatto – e non certamente ascrivibile all’impegno indiscutibile e lampante profuso dalle forze di polizia – che il preoccupante e dilagante fenomeno dello spaccio e del relativo consumo di sostanze stupefacenti, perlopiù cocaina, non ha sortito ahimè alcun calo dei consumatori né alcuna resa da parte degli spacciatori.
Caro sindaco il fenomeno della tossicodipendenza e la relativa voracità di organizzazioni familiari disposte a tutto per controllare il mercato della droga in città è tutt’altro che diminuito. Purtroppo. E questo genera insicurezza. Paura. Dubbi.
Non perché a dirlo è Maria Domenica D’Alessandro ma perché – e questa non è statistica – la droga rappresenta l’inizio di un’iperbole di delittuosità che si trasformano in violenza domestica, furti, rapine, conseguenze spesso sottaciute da coloro che le subiscono per vergogna, paura o per omertà. C’è un sommerso, esistente, di cui la Procura della Repubblica parla nelle scuole, negli incontri pubblici, ai giovani, nelle case tramite interviste televisive e che raccontano oltre la banalissima percentuale periodica di un fenomeno che andrebbe analizzato, studiato e risolto con gli strumenti adeguati a cominciare da una politica sociale più attenta ai reali bisogni della gente che “spaccia per lavoro” come si evince dalle intercettazioni raccolte proprio nell’ultima operazione cui lui – caro sindaco – fa cenno e che si chiama “Operazione Alcatraz”.
Non sto qui a dirle cosa penso e che immagino anche per il carcere di Campobasso (da cui l’inchiesta della squadra mobile trae origine), progetto di cui lei ha spesso parlato senza mai venire a capo di finanziamenti che l’Europa ha elargito e che avrebbero potuto dare a questa città un Penitenziario collocato in un’area periferica lontana dal centro e strutturalmente consono alle esigenze dei detenuti, della polizia penitenziaria e del personale impiegato. Ecco, anche questo per me significa garantire sicurezza.
Più telecamere, sì. Ma che siano apposte in tutte le zone della città unitamente ad un sistema di registrazione efficace che sia realmente utile a coadiuvare il lavoro espletato dalle forze dell’ordine: circostanza, che, invece, ad oggi non è dato riscontrare così come si è potuto constatare nel caso dell’ultima aggressione avvenuta nel sottopasso ferroviario e in occasione del furto avvenuto nel tabacchino sito in Via Elena.
Termino rammentandole che sicurezza vuol dire conoscenza del territorio e delle sue fragilità. Continuare a parlare di Campobasso come “isola felice e incontaminata” è un errore grossolano perché disarma il cittadino rispetto all’urgenza di tenere gli occhi aperti e denunciare anomalie ravvisabili in decine di segnali sempre denunciati dall’Autorità giudiziaria, di concerto con le Forze dell’Ordine.
Infiltrazioni di criminalità di stampo organizzato sono già presenti sul territorio. Lei non può negarlo, né posso farlo io. E né possono farlo i numeri.
Le ipotesi di reato sulle quali polizia, carabinieri e guardia di finanza lavorano tutti i giorni, vanno oltre le percentuali cui lei fa riferimento. Raccontano come è cambiato il nostro territorio e come i nostri servitori dello Stato siano impegnati ad evitare che le infiltrazioni si trasformino in qualcosa di ramificato ed esteso fin dentro il nostro fragile tessuto economico dove la criminalità organizzata trova linfa vitale per i suoi affari.
Invece, a Roberto Gravina, candidato sindaco del Movimento cinque Stelle, che parla di una mia candidatura definendola “da laboratorio”, di programmi vuoti e molto altro… dico, così come ho premesso, che personalmente detesto i confronti (e io parlo di confronto pur sapendo che il termine non è molto amato dai pentastellati) che si generano dal chiacchiericcio e dalle posizioni precostituite: è un lampante segnale di paura o di inabilità ad interagire.
Non capisco, dunque, su quali basi mi giudica non avendo io ancora avuto la possibilità di lavorare per la mia città. A rigor di logica avrei più diritto io a giudicare l’operato, il non operato o l’operato fatto male dell’avvocato Gravina e di tanti come lui. Ma non lo faccio. Non mi interessa né mi sfiora questo tipo di propaganda politica o campagna elettorale che dir si voglia.
Mi interessa ascoltare solo le istanze dei cittadini. E subito dopo mi interessa azionare il cervello per risolvere a quel cittadino i problemi che ha ritenuto di dover segnalare.
Detto questo, spero di dovermi raffrontare fino al 26 maggio con i miei concittadini, con le loro richieste e i loro bisogni. Sono disposta a farlo anche con i miei antagonisti perché ben venga la diversità di opinioni segnale intoccabile di una democrazia vitale e vivace, ma le accuse inique e strumentali quelle no, le rigetto. Ritengo non raccontino nulla di me ma molto di chi le professa».

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