Prosegue il confronto tra i candidati sindaci al Comune di Campobasso in vista dell’imminente voto di domenica prossima. Parola a Maria Domenica D’Alessandro, l’aspirante primo cittadino del centrodestra, che illustra programmi e priorità della sua coalizione.
In un periodo di sfiducia da parte dei cittadini nei confronti della politica – mai a Campobasso si erano registrati numeri così risicati in termini di liste e candidati consiglieri – cosa l’ha spinta a mettersi in gioco in questa sfida elettorale?
«La politica è sempre stata presente nella mia vita. Sono un’appassionata di politica. Ma per fare politica sono convinta che bisogna essere dotati anche di grande senso di responsabilità e altruismo e questo per me significa nient’altro che senso del bene comune. La città che viviamo ci appartiene e, per questo, dobbiamo imparare a custodirla. In tal senso avverto il sentimento politico come qualcosa di intriso nelle mie inclinazioni: ho già avuto una lunga esperienza amministrativa come presidente del consiglio comunale di Torella del Sannio, poi ho accettato la sfida in occasione delle elezioni Politiche; infine quando tutta la coalizione di centrodestra mi ha chiesto di mettermi al servizio e lavorare per la mia città e i miei concittadini, non ho battuto ciglio. Non sono digiuna di politica, come vede. Anzi».
Tra le tante criticità che si riscontrano in città qual è, secondo lei, il settore che ha bisogno di una maggiore spinta?
«Intanto è sotto gli occhi di tutti l’involuzione economica. I negozi abbassano le saracinesche, l’edilizia è ferma, i giovani se ne vanno: è una città sempre più vecchia e non solo anagraficamente. Assisto ad una sorta di tolleranza rispetto a situazioni di decrescita che, invece, andrebbero recuperate sfruttando tempi e conoscenza. I tempi sono quelli dell’Europa per esempio; la conoscenza è quella che si coltiva con l’ascolto degli interlocutori e la partecipazione a bandi che permettono di correre senza sosta».
In questi cinque anni di amministrazione cosa è stato fatto e cosa invece è stato ‘dimenticato’?
«Tanto per cominciare sono state dimenticate le piccole azioni quotidiane che, invece, consentono di realizzare le grandi cose. Quindi, non c’è stata programmazione. E quella che c’è stata l’ho vista e percepita come inefficiente e inefficace. Ad esempio, la manutenzione delle strade, ritengo debba essere ricorrente e non straordinaria così come quella dei parchi deve essere continua e non improvvisata. Il piano della mobilità urbana necessiterebbe di rivisitazioni importanti soprattutto in alcuni punti nevralgici del capoluogo che, oggi, sono un cappio al collo per mezzi pubblici e privati. Il piano regolatore? Guardatevi attorno e ditemi a che anno siamo. Anni Settanta. E finora la città è stata programmata a colpi di piano casa e di opinabili Accordi di programma rimasti su carta. Non ci vuole la campagna elettorale per guardarsi attorno e osservare la crescita schizofrenica di manufatti nelle zone agricole e non solo. Non esiste un piano degli arredi urbani, non si è mai avuto il coraggio di adottare un piano delle zone commerciali capace di disciplinare la nascita di centri commerciali, discount e supermercati che nella loro proliferazione caotica hanno provocato disoccupazione, cementificazione e hanno soffocato le botteghe, i piccoli artigiani, gli esercizi commerciali – anche storici – della nostra città. E’ stato contemplato tutto senza la benché minima programmazione, coscienza e conoscenza».
Chi ‘teme’ di più tra i suoi avversari?
«L’astensionismo, la sfiducia della mia gente rispetto al potere che l’urna ha di cambiare le cose. Quindi l’appello è a loro: votate. Cambiare, si può».
Cosa pensa di offrire in più alla città rispetto a loro?
«Intanto serietà, onestà intellettuale, capacità di ascolto, praticità nella ricerca di soluzioni concertate e condivise, abnegazione al lavoro. Sono una che lavora tanto, pretendo tanto da chi lavora con me perché la responsabilità di un amministratore riguarda il benessere di un’intera comunità».
La questione dei cambi di casacca ha animato il dibattito politico cittadino nelle ultime settimane. Lei cosa ne pensa? Fa parte del gioco o è una ‘prassi’ da stigmatizzare?
«Parliamoci chiaro: oggi esiste un’idea politica e non una dottrina politica di cui leggiamo sui libri di storia. Il mondo è cambiato, si è favorevoli o contrari a dei progetti, a dei modelli di crescita del Paese, a programmi contemplati per il cittadino. Il centrodestra ha delle prerogative, il centrosinistra ne ha delle altre, i cinque stelle pure, e così discorrendo. Cambiare idea su qualcosa che ci delude è sacrosanto e sintomo di intelligenza e vivacità culturale. Rimanere coerenti rispetto a qualcosa che, invece, ci si accorge fa male, è controproducente e svantaggioso per il bene comune, per quanto mi riguarda è come morire. Significare rimanere fermi. Decidere di non fare nulla per cambiare quello che non funziona più, o peggio ancora adeguarsi senza reagire e in silenzio vuol dire distruggere. Allora, in questo senso ben venga chi ha il coraggio di dire “no” e di fare scelte diverse».
Il 27 maggio, a risultato acquisito, lei è il nuovo sindaco della città di Campobasso. Qual è la prima azione che intende mettere in campo con la sua amministrazione?
«Analizzare la situazione economica dell’ente, da subito predisporre un filo diretto con la Regione, il Governo e l’Europa per individuare e intercettare tutti gli strumenti che ci sono a disposizione per sviluppo e crescita. Non sarò un sindaco chiuso in ufficio, lavorerò tra la gente e per la gente».
Il fenomeno dello spopolamento in città è ormai dilagante. Come pensa di arrestare l’emorragia demografica che riguarda soprattutto i giovani?
«Start-up grazie ai fondi europei, valorizzazione del turismo e delle attività culturali, progettazione di eventi che coinvolgano le scuole, l’università e le società sportive. Campobasso, una città a misura d’uomo, potrebbe fare grandi cose con la collaborazione di ognuno».
Azzardiamo un pronostico. Vittoria al primo turno o ballottaggio?
«Vittoria al primo turno».
Infine un appello agli elettori: perché dovrebbero scegliere lei e la sua squadra?
«Perché siamo l’altra faccia della medaglia: quella migliore».
Madu

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