Il lavoro è il motore della nostra società. E ogni cittadino ha il sacrosanto diritto di svolgere le proprie funzioni in condizioni favorevoli, ossia in un ambiente lavorativo salubre e idoneo. Non lo diciamo noi, ma la Costituzione. Lavorare, e farlo in condizioni ottimali, è uno dei principi fondamentali su cui si basa la nostra Repubblica. Eppure molte volte non è così. Ne è un esempio chiaro la situazione vissuta negli ultimi anni all’interno delle carceri italiane. Tra queste anche l’istituto penitenziario di via Cavour.
«Come spesso capita quando non si conosce da vicino una realtà, è difficile avere un quadro chiaro della situazione. E anche se non si possono toccare con mano i problemi di quella realtà, non è detto che questi non esistano».
A ripercorrere nel dettaglio le criticità riguardanti l’istituto penitenziario cittadino è Mauro Moffa, ex presidente, oggi segretario regionale, dell’Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria (Osapp) del Molise, da sempre portavoce delle istanze degli agenti penitenziari del carcere di via Cavour.
«Da anni denunciamo le condizioni in cui versa l’istituto penitenziario. Si tratta di una struttura fatiscente che già dal 1830, anno in cui è stata realizzata, non rispecchiava i criteri di vivibilità e trattamento sanciti dalla legge 354/75, figuriamoci se può rispettare quelli previsti ai tempi d’oggi. Una struttura che versa in condizioni critiche, che accusa il passare degli anni e la mancanza di interventi. Una struttura – aggiunge ironico – forse buona solo per essere visitata e valutata dal Fai!».
Un edificio che cade a pezzi, dunque, e in cui spesso viene meno il diritto a svolgere il proprio lavoro in maniera non solo sicura ma anche dignitosa. «La caserma è inagibile e in alcune sezioni i bagni sono rotti. I sistemi di allarme e antiscavalcamento sono inesistenti. Non ci sono scale antincendio e mancano i materiali previsti in dotazione per il pronto intervento (mascherine, camici ecc…). Alcune aree del cortile sono state transennate a seguito della caduta di mattoncini dal muro di cinta, il ché oltretutto riduce anche lo spazio all’aperto riservato ai detenuti. Non solo. Spesso ci imbattiamo in enormi pantegane che scorrazzano nel cortile e che a volte riescono anche ad entrare all’interno delle sezioni. Qui, inoltre, i colleghi non fumatori sono costretti a sopportare e a subire l’incidenza del fumo passivo dei detenuti perché le celle sono sprovviste di aeratori».
Nonostante l’istituto sia provvisto di riscaldamento, vista la grandezza della struttura e l’altezza considerevole delle mura, d’inverno il calore sprigionato dai termosifoni non riesce a raggiungere ogni parte dell’edificio.
«Il microclima all’interno dell’istituto è un altro grave problema con cui ci ritroviamo a fare i conti soprattutto d’inverno. Non c’è ricambio d’aria e con l’arrivo della neve e del freddo, in alcune sezioni, la temperatura scende fino a 14-15 gradi».
Ma le criticità evidenziate dal sindacalista non si limitano soltanto all’aspetto strutturale dell’edificio. Alcuni dei maggiori problemi riguardano, infatti, anche l’assetto organizzativo. «Nell’ultimo anno la struttura ha visto avvicendarsi ben quattro direttori, quindi non vige nessuna continuità gestionale. I colleghi, ormai tutti anziani, non solo d’età ma anche per anni di servizio, sono allo stremo delle forze fisiche e psicologiche. Come se non bastasse – aggiunge – dal Prap del Lam (Provveditorato regionale di Lazio, Abruzzo e Molise) stanno cercando di convincere i sindacati a sottoscrivere un accordo che prevede turni di 12 ore, non retribuiti come lavoro straordinario ma come riposo compensativo, quando invece il nostro contratto lavorativo, il 164/ 2002, prevede 36 ore settimanali articolate su 6 ore.
Ciò va in controtendenza con quanto stipulato precedentemente con un progetto denominato “Kairos”, convenzione annunciata circa un anno e mezzo fa – e mai avviata – tra l’amministrazione penitenziaria e l’Ordine degli psicologi, che prevede un’assistenza ed un supporto psicologico nei confronti degli operatori penitenziari. Servizio di vitale importanza visto che il nostro, tra tutte le Forze dell’ordine, è il Corpo in cui si registra il più elevato numero di suicidi».
Ma, oltre all’invivibilità all’interno della struttura, a monte dei problemi dell’istituto di Campobasso si registra anche una forte disorganizzazione dovuta ad un’assenza di contrattazione decentrata sull’organizzazione del lavoro che, secondo Moffa, «si protrae ormai da troppo tempo ed è dettata dalla carenza di personale, vista anche la tipologia di detenuti che abbiamo (borderline, disturbi psichici, problemi di salute fisici e mentali). Questo si evince anche dal regime aperto della ‘sorveglianza dinamica’, che nasce come un progetto in favore dei detenuti meritevoli e che oggi, invece, si è estesa a tutti gli ospiti del carcere. Ciò, come abbiamo potuto vedere nel corso degli anni, aumenta rischi e criticità, con l’introduzione all’interno dell’istituto di oggetti vietati o non consentiti, come droga e microcellulari. Come se ciò non bastasse – incalza Moffa – il capo del Dipartimento amministrativo penitenziario, Basentini, emana circolari nelle quali chiede di ripristinare la vigilanza armata sui muri perimetrali, di procedere a perquisizioni più accurate e di rimuovere dalle stanze tutto ciò che non è consentito ma non si pone affatto il problema degli uomini a cui vengono affidati questi compiti. Se non ci sono i numeri sarà sempre più difficile far fronte a tutte queste problematiche».
Una situazione al collasso, dunque, quella del carcere di via Cavour, che rappresenta un fardello quotidiano per chi vive continuamente, giorno dopo giorno, questo tipo di realtà. «Non vedo via d’uscita – spiega il sindacalista – considerata la mancanza di personale, la tipologia di detenuti e le condizioni della struttura, il nostro carcere altro non è che una ‘cattedrale nel deserto’, una struttura che non dà più sicurezza né ai cittadini, né a chi ci lavora. Pertanto – aggiunge – va chiusa. Con i soldi spesi negli ultimi 30 anni avrebbero potuto costruire non uno ma dieci carceri in Molise».
Da qui, dunque, la proposta di realizzare un istituto ex novo, in modo da potenziare la sicurezza e garantire nuovamente quei principi di vivibilità che spettano ad ogni lavoratore ma anche a chi, in quelle mura, dovrà passarci buona parte della sua vita.
«Basterebbe utilizzare prefabbricati, da costruire possibilmente fuori dal centro abitato. In questo modo anche per i poliziotti risulterebbe più facile individuare chi si avvicina alle mura per ‘rifornire’ i detenuti. Attualmente, infatti, i palazzi circostanti sono molto più alti del muro di scavalcamento e ciò favorisce il lancio dei cellulari e di materiale illecito destinato ai detenuti».
Ad oggi in carcere su una forza numerica di circa 100 unità di polizia penitenziaria, solo 60 sono destinate alla vigilanza dei reparti detentivi, a fronte dei circa 160 detenuti reclusi. Inoltre, in una condizione già di per sé disastrosa, per sopperire alle carenze del personale amministrativo, vengono assorbiti poliziotti penitenziari. Come se non bastasse da qui a un anno il carcere perderà altre 10 unità per pensionamento. A malapena dunque questi 60 operatori si ritrovano a garantire quotidianamente l’espletamento dei servizi inerenti l’ordine e la sicurezza nell’istituto.
«Mai avrei immaginato che l’amministrazione penitenziaria potesse fare questa fine – aggiunge amareggiato -. Sarà mia premura sollecitare il medico del lavoro per intervenire, anche quotidianamente, vista la situazione di stallo, di sfascio e di burnout (termine inglese per indicare lo stress provato a lavoro che determina un logorio psicofisico ed emotivo ndr), che si sta verificando. Una situazione che non è dignitosa né per chi vive in carcere, né per chi ci lavora».
Alla luce delle criticità emerse negli ultimi anni, il segretario regionale invita dunque la classe politica ad intervenire: «Invito formalmente i nostri amministratori, a partire dal presidente della Regione Donato Toma fino al sindaco Roberto Gravina, a visitare il carcere cittadino per rendersi conto di persona della grave situazione che stiamo denunciando. La struttura cade a pezzi e i colleghi sono a rischio. È tempo di agire».
SL

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