Cominceranno domani mattina in Tribunale a Isernia gli interrogatori di garanzia per i principali indagati nell’ambito dell’inchiesta ‘Fil Rouge’, messa a segno dalla Guardia di Finanza che ha permesso di portare alla luce una frode fiscale di 85 milioni di euro e accertare un’evasione di circa 24 milioni. Davanti al gip anche le sorelle Clara ed Edda Rossi. Le due imprenditrici sono state confinate ai domiciliari e, la loro difesa, è affidata all’avvocato Stefano Cappellu. Il legale, in questa fase, ha preferito non concedere dichiarazioni. Vuole analizzare il voluminoso fascicolo prima di definire la strategia difensiva. Intanto, ieri mattina, il tenente colonnello Stoico, comandante del nucleo di polizia tributaria e titolare dell’inchiesta, questa mattina ha depositato gli ultimi atti dal giudice per le indagini preliminari. Nelle ultime ore le Fiamme Gialle hanno proceduto ad ulteriori sequestri tra beni mobili ed immobili, autovetture, conti correnti e quote societarie.
Emergono poi nuovi dettagli sull’inchiesta, cominciata due anni fa. Diversi gli elementi che fanno ritenere agli inquirenti che quello messo in atto è un vero e proprio sistema di ‘fare impresa’. A evidenziarlo è stato il pm Maria Carmela Andricciola, che ha coordinato le indagini. «Lo si desume – ha sottolineato – dal numero degli indagati, delle imprese coinvolte e dell’ammontare della frode. Poi c’è il tempo di protrazione dei reati. Si va dal 2010 al 2017». Si tratta infatti di una storia che parte da lontano. Il procedimento infatti partì nel 2011 con una segnalazione da parte dell’Agenzia delle Entrate che riscontrò delle violazioni durante un accertamento fiscale a cui fu sottoposta una società con sede a Giugliano, in Campania, la cui legale rappresentante era la madre delle sorelle (oggi 91enne e colpita da obbligo di dimora nell’ambito dell’inchiesta). La donna, secondo le risultanze delle verifica, presentò la dichiarazione ai fini Iva, Ires e Irap per l’annualità chiusa al 31 dicembre 2010 senza aver indicato dati contabili, pur in presenza di operazioni imponibili per oltre 738mila euro e un Iva di 155mila euro. Non solo. Venne accertato che la società, pur essendosi costituita nel 2010, nel periodo d’imposta 2012 non aveva presentato le dichiarazioni dei redditi e non aveva mai depositato, dalla sua costituzione, il bilancio presso la Camera di commercio.
Chiaro, per gli inquirenti, il modus operandi. In genere le società, avevano un capitale sociale minimo. C’erano anche delle ditte esclusivamente ‘cartiera’, destinate soltanto ad emettere fatture per operazioni inesistenti nei confronti delle altre aziende del gruppo. Le società operavano nel corso dei primi 3-4 anni di vita, presentando bilanci e dichiarazioni dei redditi. Poi la situazione societaria diveniva insostenibile perché le dichiarazioni erano infedeli e i bilanci non rappresentavano la realtà dei fatti. A quel punto, le società venivano abbandonate attraverso a cessione di quote e la nomina di ‘teste di legno’ in qualità di amministratori. Inoltre la documentazione contabile veniva sistematicamente fatta sparire, per essere sottratta all’accertamento da parte della Guardia di Finanza. Le società andavano a morire, per esserne create di nuove. Un dato questo riscontrato per tutte le società finite nel mirino degli inquirenti. Questo, dunque, il meccanismo che la Finanza ha cercato di fare emergere con l’inchiesta.

Deb. Div.

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