Blocco comune, istituzionale e sociale, contro l’eventuale idea, nemmeno concretizzata, ma solo messa in circolo, di una classe pura, senza disabili e immigrati. A intervenire è stata la segretaria regionale dem Micaela Fanelli, che ha espresso un chiaro pensiero: «Larino è altro. Larino è più in alto del razzismo». «Conosco Larino, la sua storia, il suo popolo – prosegue la Fanelli – conosco soprattutto la grande solidarietà che alberga nell’animo della sua gente. Tanto volontariato, centri di assistenza ai diversamente abili, un centro Sprar casa di oltre quaranta migranti, scuole di ogni ordine e grado che hanno fatto la storia della cultura in Molise. E mi dispiace che le sciagurate intenzioni di pochi, pochissimi, possano anche solo lambire l’immagine di una Città da sempre accogliente, solidale, inclusiva. Con tutti. Larino è altro, Larino è più in alto. Tutta la mia solidarietà e vicinanza al Presidente del Consiglio comunale Mariangela Biscotti. E soprattutto oggi, ai larinesi tutto il mio rispetto e la mia stima per l’esempio di generosità che hanno sempre dimostrato e insegnato». In merito è tornato anche il sindaco Vincenzo Notarangelo, che ha ribadito le ragioni espresse nel documento a firma dell’intera maggioranza. «Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo imparato l’arte di vivere come fratelli. Lo disse al mondo Martin Luther King, eppure molti lo hanno già dimenticato. Non tutti, però. Soprattutto a Larino, la città dove l’accoglienza non è mai stata uno sforzo, ma un sentimento sincero che da sempre pervade la nostra cittadinanza. E leggere il nome di Larino su titoli di giornale, accostato a parole quale razzismo, xenofobia, odio… fa male. Di più, ci offende. Semplicemente perché non è vero. E a dirlo non siamo noi. Ma le centinaia di immigrati, di ogni nazionalità, che a Larino, da decenni, hanno trovato una seconda casa. Che per molti di loro è diventata la prima. Albanesi, rumeni, marocchini, nigeriani. Sono tutti larinesi, rispettati da tutti i larinesi. Loro e i loro figli, che vanno a scuola con i nostri, in chiesa, in piazza, in palestra. Che a Larino sono di tutti. Non “prima dei larinesi”… perché larinesi lo siamo tutti. Dal primo all’ultimo, di tutte le razze, religioni, opinioni politiche. E se qualcuno è uscito fuori dal binario della solidarietà, a deragliare è stato soltanto lui, non il nostro popolo. Se qualcuno pensa di educare i propri figli “separandoli” dai “diversi”, ha sbagliato epoca, nazione, comunità. Se qualcuno pensa di utilizzare la scuola per creare ghetti, sia essa pubblica o privata, a Larino non troverà nessuno disposto a seguirlo. Perché Larino e i larinesi sono i “diversi”. E in questo momento storico in cui l’ignoranza alimenta il razzismo…si, noi siamo diversi. E ne siamo orgogliosi! E non permetteremo a nessuno, sia esso figlio di papà o appartenente a qualche presunta élite, di affermare il contrario». Infine, spazio a Vincenzo Musacchio, direttore della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise. «Da oltre vent’anni mi reco nelle scuole d’Italia per parlare di legalità ai ragazzi e noto in loro la voglia di conoscere e di crescere culturalmente. Dico sempre loro che la scuola pubblica, in uno Stato democratico di matrice solidaristico sociale, non può che essere altamente inclusiva e capace di integrare, di fare della diversità una ricchezza. Chi la pensa diversamente credo sia fuori dal mondo! Bisogna ammettere che nella scuola italiana ci sono molte cose che non funzionano ma tra quelle funzionanti abbiamo un sistema di integrazione culturale avanzato, di cui possiamo e dobbiamo essere orgogliosi. I dirigenti scolastici e i docenti fanno un lavoro straordinario, pur con carenza di risorse e strumenti che certamente consentirebbero di venire sempre più incontro alle nuove esigenze di studentesse e studenti e delle loro famiglie. A mio parere è proprio grazie al percorso che le ragazze e i ragazzi con cittadinanza non italiana o i diversamente abili fanno a scuola che il nostro Paese potrà contare anche sui loro talenti e sulle loro intelligenze. Ritengo che sia proprio a scuola che studentesse e studenti, famiglie e comunità sociale con storie diverse possono imparare a conoscere le diversità, a superare le reciproche diffidenze, a sentirsi responsabili di un futuro comune. La scuola del terzo millennio non può non essere un laboratorio di convivenza e di crescita culturale. Deve dare risposte efficaci alle storie e ai bisogni educativi di chi è appena arrivato nel nostro Paese e di chi è diversamente abile. La scuola pubblica deve saper accogliere tutti, ciascuno con le proprie differenze di apprendimento e di inserimento. Non dimentichiamo che funzione della scuola è quella di realizzare tutte le strategie possibili per sviluppare le potenzialità degli studenti pur nelle loro diversità. Penso che non sia né giusto né sano costruire classi “ghetto” per evitare che i disabili, gli extracomunitari o gli emigrati, possano arrecare fastidio alle classi cosiddette di “élite”. Non è giusto anche perché la maggior parte di queste persone vive la propria condizione non per colpa propria. Sono migliaia gli studenti con disabilità, sia fisica che psichica, che durante l’anno scolastico non possono partecipare alle lezioni insieme ai loro compagni di classe non per colpa loro ma per la carenza di docenti, di fondi e di strutture ad hoc.
Quanto agli immigrati nella maggior parte dei casi loro fuggono dalle loro terre solo per salvarsi e molti di loro sono proprio bambini. Nei loro viaggi della speranza spesso muoiono in mare aperto perché viaggiano con imbarcazioni di fortuna. Mi sento di affermare che la scuola pubblica deve costruire ponti non muri o peggio ghetti. La scuola in cui credo io ha nel suo Dna un elemento indispensabile: l’umanità».

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