Terminati gli interrogatori di garanzia da parte della magistratura frentana nell’ambito dell’ultima retata antidroga denominata Pacco Free, che ha fatto finire agli arresti 7 persone di diversa provenienza, per i tentativi reiterati di introduzione degli stupefacenti in carcere, per rifornire il consumo e lo spaccio dentro le mura carcerarie. Cinque dei 7 principali indiziati (nel complesso gli indagati sono 16) hanno preferito non rispondere al gip frentano e si sono avvalsi della facoltà di rimanere in silenzio. Altri due sono stati interrogati per rogatoria. Al termine di questa fase i legali dei 7 hanno chiesto la revoca dell’ordinanza di custodia cautelare. Dopo i primi arresti di aprile, l’operazione “Pacco free” ha varcato i confini regionali e con l’accusa di detenzione e spaccio di droga che poi finiva in carcere sono state arrestate altre sette persone, cinque uomini e due donne. Gli uomini dell’Arma, la Polizia penitenziaria, il personale del Prap di Roma e le unità cinofile avevano operato i fermi a Vasto, Santa Croce di Magliano, Guidonia e Fiumicino. Nell’ambito delle operazioni sono stati sequestrati quattrocento grammi di droga tra hashish e cocaina. Droga che poteva essere spacciata all’interno del carcere e che solo la meticolosa attività della polizia penitenziaria è riuscita ad evitare. Metodi di inserimento della droga che cambiavano di volta in volta a causa della presenza degli agenti sempre vigili e delle telecamere che in alcuni casi sono riuscite a documentare la cessione dello stupefacente. Tanti e variegati i metodi che venivano principalmente utilizzati dai parenti dei detenuti, alcuni dei quali si recavano ai colloqui dai loro cari rinchiusi. A volte avevano la droga addosso, a volte era trafugata all’interno di contenitori che venivano fatti recapitare, a volte inconsapevolmente, venivano utilizzati volontari che avevano accesso al carcere per la propria attività.
Poi nelle suole delle scarpe, all’interno della carne cotta, ceduta ai colloqui. Ma quando la droga veniva rinvenuta e poi sequestrata, a quel punto il metodo cambiava. La sostanza stupefacente veniva nascosta all’interno del cartone che conteneva vivande e vestiti per i detenuti. Poi il cartone doveva essere smaltito come rifiuto e veniva accantonato in altro ambiente. Coloro che tra i detenuti avevano accesso all’area dei rifiuti andavano a recuperare l’hashish e la cocaina da quelle parti.

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