Il 23 settembre “Primo Piano Molise” hanno ospitato un articolo sulla “riqualificazione” del centro storico di Termoli il cui autore così esordisce: “Preciso subito che io non amo le ideologie e non sono schierato in modo preconcetto a favore o contro qualcuno o qualcosa.”
Tre frasi dopo, egli aggiunge: “Fatti dunque; non teorie, né ideologie.” Ottimo – mi sono detto – una discussione seria deve appoggiarsi sui fatti concreti. Naturalmente anche così non si ha una garanzia di assoluta obiettività: in totale buonafede ci possono essere omissioni o distorsioni di alcuni fatti; inoltre, accade spesso che i medesimi fatti siano suscettibili di interpretazioni differenti.
Insomma, anche i fatti vanno maneggiati con cautela; tuttavia, quando il tessuto di un confronto è costituito da fatti condivisi, la discussione e concreta ed utile, anche se dovessero permanere differenze interpretative. È con queste aspettative positive che mi sono addentrato nella lettura dell’articolo; ma, con mia sorpresa, sono arrivato in fondo trovando un solo riferimento fattuale, di cui dirò innanzi. È questo un caso – credo più unico che raro – di un testo che contraddice e attacca se stesso, venendo meno alle premesse poste dall’autore. Quello che mi propongo, con questo scritto, è di dare esecuzione al lodevole proposito – enunciato ma disatteso dall’autore dell’articolo – di dare la parola ai fatti. Comincio dall’unico fatto citato nell’articolo, che loda il Comune di Termoli e la De Francesco Costruzioni, che avrebbero consentito “un ampio dibattito pubblico, con Work shop e tavoli tematici, dove ogni cittadino ha avuto la possibilità di chiedere, proporre, dibattere e partecipare direttamente.” Qui devo rilevare che l’evento è presentato in maniera quantomeno approssimativa ed imprecisa. Ad ogni cittadino è stata data la possibilità di inviare quesiti e proposte tramite e-mail, mentre la partecipazione vera e propria al dibattito, cioè la presenza fisica con facoltà di parola, è stata pesantemente filtrata dagli organizzatori, che hanno incanalato l’evento in tre laboratori (workshops, se si preferisce l’inglese), e quattro tavoli tematici (un laboratorio era sdoppiato), su temi prestabiliti dagli organizzatori ed a cui – secondo le regole enunciate dagli organizzatori – potevano chiedere di essere ammessi solo i “portatori di interessi legittimi (rappresentanti di Istituzioni, sindacati, associazioni ambientali, associazioni cittadine, associazioni di categoria etc.)”. Per i tavoli tematici sono state previste “regole di ingaggio” (è scritto proprio così, come se si trattasse di andare in guerra) molto limitative per i partecipanti: ad ogni tavolo potevano partecipare 5 invitati, più il “mediatore” (scelto dagli organizzatori), più un rappresentante dell’Amministrazione comunale ed uno del costruttore (cioè degli organizzatori); questi ultimi potevano intervenire se invitati a farlo dal “mediatore”. In conclusione il “dibattito pubblico”, che si è tenuto ad opera già appaltata, è stato un’azione di facciata, propagandistica, rigorosamente incanalata per accreditare una partecipazione ed un consenso popolari che non ci sono stati e neanche si volevano. Tratterò adesso in sintesi i principali fatti connessi alla “riqualificazione”, partendo dagli scopi dichiarati dall’Amministrazione comunale, dalla loro coerenza con il progetto e dalle ricadute positive e negative che possiamo attenderci dalla sua realizzazione. Con la “Realizzazione di un sistema integrato per la viabilità e mobilità sostenibile del Comune di Termoli” (questa è la denominazione ufficiale del progetto) si intende migliorare la circolazione nel centro di Termoli, sia modificando (grazie al tunnel stradale) il circuito primario del traffico, sia decongestionandolo attraverso una maggiore offerta di parcheggi a rotazione, che evitino il traffico “parassita” (coloro che continuano a circolare solo perché non trovano da parcheggiare). Esaminiamo per prima l’opera che gli amministratori termolesi si ostinano a chiamare “parcheggio multipiano”, mentre in effetti è un fabbricato polifunzionale, adibito solo per metà a parcheggio a rotazione (di proprietà pubblica dato in concessione trentennale al costruttore), mentre per l’altra metà (di proprietà del costruttore) è riservato ad esercizi commerciali, appartamenti, box auto, parcheggi da affittare in abbonamento e, dulcis in fundo, ad un teatro. Nel 1° progetto definitivo con cui la De Francesco Costruzioni ha vinto la gara (da unica partecipante) gli stalli auto a rotazione sono 480; nel 2° progetto definitivo apparso a fine luglio 2017 (un anno e mezzo dopo la gara) gli stalli a rotazione sono calati a 439; inoltre, nel nuovo progetto si sono accorti che circa 350 stalli a rotazione di superficie, attualmente esistenti, saranno eliminati per effetto delle pedonalizzazioni e della introduzione del doppio senso di marcia in via Mario Milano. L’apporto netto di stalli a rotazione è dunque di appena 89 posti auto in più: una goccia nel mare, pagata a prezzo dello sbancamento totale ed irreversibile del Piano di S. Antonio. C’è poi una illogicità strategica di fondo: un parcheggio a rotazione in pieno centro, specialmente se associato ad attività di richiamo (negozi, appartamenti, teatro), non riduce i flussi veicolari verso il centro, ma li incrementa, aumentando la congestione che invece si vorrebbe ridurre. Si dice anche che attualmente l’area del Piano di S. Antonio e del Pozzo Dolce è degradata e che verrebbe “riqualificata” dal complesso edilizio polifunzionale, anche dal punto di vista del verde pubblico. Che il costone del Piano di S. Antonio sia trascurato è evidente, ma questa è responsabilità di chi ha amministrato Termoli in passato e di chi l’amministra ora. Prima si lascia degradare un bene, che è di tutti i cittadini, e poi si propone di distruggerlo! Riguardo al verde, le rappresentazioni (rendering, se non potete fare a meno dell’inglese) dell’opera ultimata che sono state diffuse sono ricche di verde, con tanto di alberi di alto fusto; ma si tratta di rappresentazioni destituite di ogni fondamento. La “villa comunale” di piazza S. Antonio sorgerebbe sul solaio di copertura di un fabbricato, quindi con la possibilità di ospitare al massimo delle fioriere, non degli alberi di alto fusto; inoltre dal progetto si vede che la stessa piazza sarebbe costellata dalle grate di areazione del parcheggio, che convogliano in superficie i gas di scarico delle auto, ed ulteriormente deturpata da due grandi casotti (35 mq di superficie ciascuno) che ospitano i vani delle scale e degli ascensori per l’accesso pedonale al parcheggio. Il “verde pubblico attrezzato con area giochi”, che dovrebbe sorgere sulla copertura del teatro, è costituito da “una miscela di 6-7 varietà di talee di sedum”, poggiate su un sostrato di terriccio alto 8 cm, benché nelle rappresentazioni grafiche si mostrino molti alberi di alto fusto. Il sedum è una pianta erbacea ultraresistente, specialmente alla siccità, che si eleva di pochi centimetri dal suolo, che cresceva anche sulle dune del nostro litorale nord, prima che le dune stesse venissero sostituite dalle villette. Il verde che, sempre nei rendering, si vede fuoriuscire dal fronte mare del fabbricato polifunzionale è anch’esso di pura fantasia; infatti, dove ora c’è il costone, con sotto vero suolo, domani ci sarebbero i balconi degli appartamenti e degli esercizi commerciali, che ospiteranno dei vasi da fiori, proprietari permettendo. Veniamo ora al tunnel. L’opera è stata immaginata e poi progettata senza alcuna seria analisi trasportistica: alla cieca, sulla base di una intuizione di chissà chi. L’idea ed un primo progetto molto simile all’attuale li troviamo già nell’opuscolo dei 10 progetti per Termoli, distribuito dall’Amministrazione Greco. Venendo all’Amministrazione Sbrocca, sia il progetto di fattibilità tecnica del tunnel, predisposto dal Servizio lavori pubblici del Comune di Termoli, sia il progetto presentato a gara dalla De Francesco Costruzioni mancano totalmente di una analisi trasportistica. Solo successivamente, esattamente nei giorni 8 e 9 novembre 2016, sono stati effettuati dei rilievi sul campo (a mano, non con sistemi automatici) in 5 punti chiave, tra le ore 17 e 30’ e le ore 18 e 30’. Solo allora e sulla base di appena due ore di rilevazioni si è imbastito un documento, che chiamano analisi trasportistica, ma che è basato su dati campionari irrisori e dunque insufficienti.
Se l’utilità o disutilità del tunnel in termini di viabilità è un punto interrogativo, possiamo già considerare quali sono i danni certi e quelli altamente probabili conseguenti alla realizzazione dell’opera. Un danno altamente probabile è quello che si determinerebbe al patrimonio storico ed anche agli edifici più recenti che il tunnel incontra lungo il suo percorso, che dal porto si snoda proprio sotto la Torretta Belvedere e prosegue lungo via Roma, fino a piazza S. Antonio. Anzi, le probabilità di danno sono enormemente cresciute con il 2° progetto definitivo, secondo il quale il tunnel verrebbe realizzato a cielo aperto (tranne gli 87 metri su un totale di 297 che attraversano il fabbricato polifunzionale): verrebbe scavata una enorme trincea, larga 11-12 metri e profonda fino a 15-16 metri, con grave rischio di smottamenti e crolli, sia in corso d’opera che a lavori ultimati. Per quanto riguarda la Torretta Belvedere, nel 2° progetto si immagina di superarla infilando sotto le sue fondamenta, con la spinta di martinetti pneumatici, dei lastroni di acciaio.
Ammesso e non concesso che il crollo della torre non avvenga già in fase di costruzione del tunnel, si tratterà di vedere se la torre, poggiata sull’acciaio, rimarrà ferma, oppure inizierà a scivolare verso il porto, per poi crollare. Lungo il suo percorso il tunnel incontrerà anche le fondamenta della seconda torre medioevale, ubicata in cima a via Aubry, di cui esistono tracce documentali ed anche materiali (rinvenimento a 2 metri di profondità nel 1916, durante lavori stradali); inoltre è molto facile che emergano altre strutture di interesse storico ed archeologico, che non possono essere scavate via per realizzare la trincea. Passando dal 1° al 2° progetto definitivo, il tunnel non è cambiato solo nelle modalità costruttive, ma anche nella sua forma: doveva essere alto 7,40 metri, ridotti a 5,50 metri nel passaggio sotto la Torretta Belvedere, ed invece ora è prevista ovunque l’altezza di 4,50 metri. In conseguenza dell’abbassamento dell’altezza del tunnel, non sarà più possibile contare sulla ventilazione naturale (favorita anche da una leggera pendenza), ma dovranno essere previsti due o tre camini di areazione, a ventilazione forzata, che convoglieranno i gas di scarico in superficie, peggiorando la fruibilità dell’area pedonale soprastante.
La necessità di ricorrere alla ventilazione forzata aumenterà anche i costi operativi e di manutenzione del tunnel (a carico del Comune), oltre a renderlo impraticabile in caso di guasto o manutenzione straordinaria. Questi mi sembrano i fatti principali relativi alla “riqualificazione”, che sarebbe più opportuno definire un grande scempio. Voglio concludere riprendendo l’affermazione finale dell’articolo che mi ha dato lo spunto per questo scritto, dove si afferma l’esistenza di una “maggioranza silenziosa” favorevole al progetto.
Se così è, l’Amministrazione Sbrocca ha il preciso dovere di consentire a costoro ed a tutti i termolesi di esprimersi sull’opera, indicendo finalmente il referendum popolare, che invece osteggia in ogni modo.
Giuseppe D’Erminio

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.