Il tragico incidente avvenuto venerdì sera sulla statale 16 Adriatica al km 632, nei pressi dello svincolo di San Paolo di Civitate e in direzione Poggio Imperiale, nonostante sia avvenuto in territorio della provincia di Foggia ha colpito due volte la comunità termolese. Non solo il lutto del maggiore dell’Esercito Fabrizio Ronchetti, che ha perso la vita a 46 anni, lui che era isernino di nascita e viveva con la moglie e il figlio a Termoli, nel quartiere di Santa Maria degli Angeli. Anche il 40enne Patrizio Tristano, nativo di Canosa di Puglia e residente a Cerignola, frequentava Termoli per motivi di lavoro. Era un portalettere senza zona fissa, agiva e consegnava la posta dove c’era bisogno, in base alle esigenze dei colleghi. Lascia tre figli e la moglie. Due giovani padri e mariti che hanno subito un destino atroce. Il feretro di Ronchetti è stato restituito subito dalla Procura di Foggia alla famiglia, senza che venisse disposta l’autopsia. I funerali del maggiore, che era in servizio all’undicesimo reggimento del Genio guastatori dauno, hanno avuto luogo ieri pomeriggio, alle 15, nella cattedrale di Termoli. Fabrizio lascia la moglie Anna e il figlio 11enne Francesco. Dopo alcune settimane dai funerali del brigadiere capo Salvatore De Gregorio, piazza Duomo torna a gremirsi di divise e uniformi, di cordoglio e sgomento, a cominciare dalla presenza dei vertici delle Forze armate con rango provinciale. Per lui un picchetto d’onore e simboli del suo trascorso nell’Esercito: sulla bara il tricolore e il berretto da Maggiore, adagiato su un cuscino rosso. Oltre alla famiglia, suoceri e genitori. «Ci sono dei momenti in cui, credetemi, io non vorrei essere il prete – ha affermato il parroco della cattedrale, don Gabriele Mascilongo durante l’omelia – perché sono costretto a parlare, e questo è uno di quei momenti in cui preferirei non parlare. Perché chi tra di noi è passato attraverso queste esperienze di dolore di sofferenza sa quanto le parole possono risultare anche fastidiose. Sono sempre inutili, anche se sono parole belle, parole di consolazione. Perché in questo momento il dolore non è nostro, il dolore – afferma il parroco rivolgendosi ai familiari – è soprattutto loro. Noi in questo momento siamo vicino a loro, ma il dolore non è mio, non è neanche vostro… il cuore che sanguina, ferito, è soprattutto loro. Io non ho perso un papà, io non ho perso un marito, non ho perso un fratello, tutti noi magari abbiamo perso un amico, ma io non sono Ferruccio che sta piangendo un figlio, non sono Francesco che sta piangendo il papà, non sono Anna che sta piangendo il marito. Quindi ciò che dico lo dico con estremo pudore, e quelle che pronuncio non sono le parole degli uomini, ma cerco di ripetere, per quanto posso, le parole di Dio. La parola di Dio, l’unica plausibile di fronte alla morte, anche di fronte ad una morte così incomprensibile di un ragazzo buono che muore in un incidente. Io non so perché questo sia accaduto – afferma il parroco – e so che può essere disarmante questa mia risposta, però non sarei sincero con voi se dicessi il contrario, oppure vi darei delle risposte di circostanza. Io non lo so perché questo è accaduto. Però io ho una risposta… una risposta non a questo dolore, non a questa morte, non a questa perdita… ma io ho una risposta cristiana. E la risposta cristiana è questa, la stessa che ho dato ieri sera ai familiari quando abbiamo pregato insieme sulla salma di Fabrizio: l’unica risposta, che non toglie il dolore, che non lenisce la sofferenza, che non asciuga le lacrime ma che non ci abbandona alla disperazione, è quella che ci ha dato Gesù con la sua vita e con il suo insegnamento».

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