Un colpo di scena per certi versi clamoroso quello che emerge dagli atti dell’inchiesta dell’omicidio di Celestino Valentino, avvenuto nell’estate del 2016 mentre si trovava ricoverato al Ss Rosario. La difesa di Anna Minchella, l’infermiera in carcere dall’estate 2017 con la pesantissima accusa di omicidio pluriaggravato, ha infatti sollevato più volte delle incogruenze relative in particolare ai due “testimoni” dell’avvelenamento del 77enne di Pratella. Due anziani, malati, non in perfetta forma fisica ma che hanno descritto non tanto la donna quanto i vestiti che indossava quando entrò nella stanza del delitto il fatidico giorno dell’omicidio. Ebbene, entrambi, un uomo (peraltro deceduto nel frattempo) e una donna, hanno descritto abiti diversi da quelli indossati da Anna Minchella e riconosciuti da tanti altri operatori sanitari in servizio al Ss Rosario nei minuti in cui si consumava il delitto.
Una “novità” non secondaria che però, va detto, è stata già valutata da diversi giudici – ultimo quelli di Cassazione – nell’ambito dei ricorsi contro la custodia cautelare. Un fatto che tuttavia potrà essere ancora riproposto dai legali della donna ancora rinchiusa nel carcere di Benevento in attesa di giudizio.
Secondo tutti i giudici che finora hanno esaminato la questione, i due anziani ricoverati uno nella stessa stanza di Celestino Valentino e un’altra nella stanza accanto sostanzialmente non sono “attendibili” considerate le condizioni personali dei due testi, di 86 e 94 anni, «seriamente malati». E soprattutto, la mole di prove e altre testimonianze raccolte dipingono un quadro chiaro e concordante. A partire dall’acquisto – tra le tante altre cose – pochi minuti prima dell’acido cloridrico responsabile della morte del povero 77enne.
La difesa ha provato più volte a dimostrare che i due “testimoni” «all’ora presunta del delitto, hanno notato una donna con abbigliamento certamente diverso da quello indossato quel giorno dall’indagata e posto sotto sequestro». Addirittura il compagno di stanza di Celestino Valentino per ben tre volte ha ribadito la stessa fattispecie.
Nonostante ciò, anche i giudici di Cassazione hanno convenuto che «le dichiarazioni dei testi […] e […] non hanno affatto il rilievo decisivo sostenuto dalla difesa e le stesse, comunque, non possono avere efficacia dirompente rispetto agli indizi robusti valorizzati dall’accusa e dai giudici di merito, la presenza in loco della indagata, l’acquisto dell’acido cloridrico poco prima della sua somministrazione, l’uscita ed il ritorno immediato in ospedale dopo l’acquisto giustificabile soltanto dalla volontà di utilizzare l’acido appena acquistato, il possesso degli schizzettoni, un apprezzabile movente legato alla personalità della Minchella in assenza di una ragione alternativa giustificativa di un evento come quello per cui è causa».
Sia come sia, anche di questo probabilmente si dibatterà nel processo al Tribunale di Isernia dove, ricordiamo, per il 13 giugno è attesa la sentenza di primo grado. Ricordiamo che Anna Minchella è stata anche sottoposta a perizia risultando che non è affetta da infermità mentale. La 46enne originaria di Presenzano è dunque capace di intendere e di volere e può sostenere il processo a suo carico.

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