Vivere lontano dal luogo dove si è cresciuti consente di avere una visione diversa – forse proprio grazie al distacco – di cosa accade.
Stare a qualche chilometro di distanza da mamma, fratelli, zii, cugini, nipoti, amici cari, allarga la mente, amplia gli orizzonti, aiuta a ragionare con maggiore razionalità.
Tranne qualche periodo agli albori della vita – sballottato qui e lì per il Paese per via della professione di mio padre Vincenzo, che non c’è più dall’82 – ho sempre vissuto a Venafro fino al 2007. E lì conservo le amicizie e gli affetti più cari.
Papà se n’è andato quando avevo 9 anni. Da allora sono entrato in contatto con il cancro. Da allora porto un macigno nel cuore e tengo nella mente il conto delle persone che sono volate in cielo per la stessa ragione.
Il cancro esiste anche dove vivo adesso, tra Cercemaggiore e Campobasso. Non ho gli strumenti scientifici per sapere se nella stessa misura o meno. Ma posso affermare con certezza che qui l’approccio con questo orrendo male e con l’ambiente – che probabilmente è tra le cause che lo sviluppano – è totalmente diverso.
Ciò, detto davvero con distacco e oggettività, mi porta a pensare che a Venafro e nell’area circostante c’è un problema in più. Oppure, chi vive in quella zona è improvvisamente impazzito e, anziché pensare a godersi la vita, trascorre il tempo a rincorrere le streghe che non esistono.
L’area è tra le più inquinate del Molise e, stando ai dati forniti dalle centraline Arpa – che grazie ai colleghi di Primo Piano Molise di Venafro su queste colonne trovate con cadenza sistematica sempre ben rappresentati (e la mente va al compianto Mario Lepore, che dell’ambiente ha fatto una ragione di vita) -, è tra le più inquinate del Paese.
A breve sarà realizzato lo studio epidemiologico finanziato dalla Regione – grazie, va detto anche questo, all’impegno delle associazioni locali e dei consiglieri regionali del Venafrano – che consentirà di mettere a confronto i dati già noti e gli effetti dell’inquinamento sulla popolazione. Un grosso passo in avanti, uno dei pochi. Negli ultimi anni non è stato fatto granché per limitare i danni.
Venafro, quarto centro del Molise, è l’unico ancora attraversato da una strada statale percorsa da centinaia di mezzi, per lo più pesanti, ogni giorno. Ciò non accade a Campobasso, a Termoli e Isernia, che sono le altre tre città demograficamente più numerose.
Perché? È complicato. Ma sostanzialmente per difendere gli interessi commerciali di qualche famiglia che, grazie ai venafrani, io per primo, hanno avuto negli anni voce in capitolo e hanno saputo orientare le scelte della politica.
Al traffico si aggiunge l’effetto inquinante di siti produttivi di grosso impatto ambientale.
Fino a qualche anno fa il nucleo industriale di Pozzilli pullulava di aziende, che probabilmente e inevitabilmente hanno contribuito a deturpare il territorio, ma davano lavoro e ricchezza a centinaia e centinaia di famiglie. Oggi l’area industriale è deserta. Un cimitero. Resistono pochi insediamenti.
Cosa fare per invertire la rotta?
Intanto farsi ben rappresentare nelle amministrazioni, a partire da quella cittadina.
È poi necessario far arrivare, forte, la propria voce nei palazzi dove le decisioni si assumono, ad ogni livello. L’ho scritto diverse volte e lo sosterrò fin quando potrò: la Regione continua ad assumere provvedimenti in favore degli ex lavoratori Gam, come se fossero gli unici in Molise ad aver perso il lavoro. Non sono gli unici, ma hanno il grande merito, e gliene do atto, di essere presenti a tutte le sedute del Consiglio regionale. Sono costanti, determinati, imperterriti, agguerriti. D’altronde difendono un loro sacrosanto diritto.
Lavoro da dieci anni nella redazione da cui sto scrivendo, seguo le vicende del Consiglio regionale, non ricordo di aver mai visto persone della Valle del Volturno protestare per l’ambiente. Ricordo molto bene, invece, un picchetto davanti al Tar qualche anno fa quando si discuteva il ricorso delle Mamme per la salute e l’ambiente contro l’ampliamento della capacità produttiva di Herambiente.
È necessario far capire, anche alla magistratura – che, dalle poche indiscrezioni trapelate, pare stia operando bene e nella giusta direzione – quanto la popolazione avverta che la misura – sicuramente quella del buon senso e probabilmente anche quella legale – è stata abbondantemente oltrepassata.
È altresì fondamentale superare le divisioni e far sentire una voce unica: forte, seria, determinata. Incondizionabile.
In un’epoca dove la politica ottiene consensi coi like e fa opinione un fesso qualunque che promette di riaprire ospedali chiusi e costruire muri nel mare, è necessario rinnovare il senso di appartenenza ad un territorio che è custode della nostra storia e, tutti insieme, lottare per cambiare le cose.
Lo dico a me stesso: non basta contare e piangere i morti. Per invertire la rotta serve altro. E tutto quello che serve è nelle possibilità di Venafro e del suo hinterland.
Forse davvero è arrivato il momento di dire: «Ora basta!».
Luca Colella

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.