Caro direttore,
sono rimasto negativamente colpito dal modo con cui tanti -dispiace dirlo, anche fra gli operatori dei mass-media- hanno trattato il tragico evento di Corinaldo (AN). Si sono accesi i riflettori sulla sicurezza, sul numero di biglietti venduti, sulle procedure di elargizione degli stessi, ma non si sono puntati gli occhi sulla vera causa del disastro: la cultura di morte che andavano ad osannare migliaia di minorenni. E’ come dire: se c’è un incendio, la colpa non è di chi lo ha appiccato, ma del cerino! Un po’ come il pifferaio magico dei fratelli Grimm, questi giovani seguivano una sorta di incantatore che inneggiava all’uso di droghe, al sesso libero, ad un concetto totalmente travisato di libertà, alla cultura dell’apparire e non dell’essere, allo sbeffeggiamento del concetto di autorità incarnato dalla figura genitoriale e alla derisione di forme ben più sane -e quindi intelligenti- di divertimento. Leggete qualche testo e ve ne renderete conto. Undicenni, tredicenni, quindicenni nell’attesa acritica di un essere che, nel pieno spregio dei suoi adepti, si sarebbe presentato ben oltre le ventidue (orario di inizio del concerto), perché si trovava a Rimini proprio a quell’ora e, una volta giunto a Corinaldo secondo i propri comodi (si prevedeva intorno alle due) avrebbe inneggiato al disprezzo della persona attraverso l’uso degli stupefacenti e del loro corpo adibito ad oggetto.
A quei genitori che hanno seguito i propri figli vorrei dire: a che cosa serve accompagnarli? A tacitare le vostre coscienze? Perché non vi siete documentati sui testi di questo cantante? O li ritenete non lesivi della formazione dei vostri figli, pensando che sia più pericoloso il fatto che un’uscita di sicurezza sia bloccata?
Ai miei tempi di adolescente chi andava per la maggiore erano i Queen: mio padre, che conosce bene l’inglese, ha esaminato tutti i loro testi e, dopo averne selezionati alcuni che inneggiavano diabolicamente e scaltramente ad una cultura che era l’antitesi della vita, mi ha fatto un bel discorsetto, e lo ha fatto non solo dicendomi che non andavano ascoltati, ma anche PERCHE’. Il discorso, dunque, si è protratto a lungo, e anzi mi è servito da spunto nei giorni successivi perché mi ha posto degli interrogativi, ha fatto barcollare le mie certezze, e mi ha spinto a dialogare sia con lui che con alcuni insegnanti. E’ tanto difficile dialogare, abituare la gente a pensare?
Vede, quello che sta pericolosamente accadendo nella nostra società è che si è perso il senso dello stupore, e quindi anche dell’indignazione. Si ritiene che determinati gesti siano poca cosa (per esempio, ascoltare una certa musica), si derubricano certi atteggiamenti, si relativizza tutto. Beh, se così fosse, le persone che ostentano tanta razionalità nell’affermare questa tesi dovrebbero guidare il mondo, perché quest’ultimo andrebbe bene in quanto votato alla perfezione! Dov’è la razionalità? Dov’è la perfezione? Se qualcuno le avvista, me lo dica.
Quando rifletto su questi aspetti, mi vengono due immagini nella mente: una è quella dei ragazzetti che si attardano in villa Musenga o in Corso Bucci fin oltre le ventidue in giorni feriali, senza il benché minimo controllo di chicchessia, l’altra è quella della moda per bambini propinata da tanti marchi di abbigliamento. Pensateci un attimo: bambini che vengono già “addobbati” come se fossero degli adulti, con il nero che impera, stivali con borchie, fuseaux stile top model, cappotti della mamma. Se non ci stupiamo di tutto questo ribaltamento concettuale e riteniamo che non possa essere la diabolica anticamera alla formazione errata dei nostri giovani, proprio come la cannabis è la sicura anticamera alle droghe pesanti (e non perché lo dico io), allora abbiamo, più o meno consapevolmente, scavato la fossa ad un’intera generazione. Tappe bruciate, infanzia non vissuta, bimbi cresciuti prima del previsto: se tutto questo rende la gente felice, come si vuol far credere, trovatemi un giovane che mostri il volto contento e soddisfatto: imperano la tristezza, lo smarrimento, l’insicurezza sui volti di tanti teen-agers, e non vedere un aspetto del genere significa solo fingere con se stessi. Derubricare, relativizzare, minimizzare non hanno mai aiutato a capire i fenomeni, a gestire gli eventi, a trovarne le soluzioni.
Se non ci fermiamo, sarà un disastro, e la futura società non avrà le basi solide come quella di un tempo, ma si sfalderà come il burro in una padella.
Come ha scritto un quotidiano, genitori, sveglia!! Mi unisco convintamente all’esortazione.
L’occasione mi è gradita per augurarle un felice Natale.
Marcello Cerea

5 Commenti

  1. Donata Maurilli scrive:

    Quando parli con tanti campobassani -genitori e non, insegnanti e non- ti cadono le braccia, perché sono loro i primi a derubricare certi fenomeni, e quasi si infastidiscono perché gli stai presentando in tutta la sua triste evidenza un tema nei confronti del quale tutti dovrebbero fermarsi a riflettere per esaminare le proprie coscienze e cambiare approccio se realmente si vogliono cambiare le cose.

  2. Mariapaola De Bernardis scrive:

    Lucido esame della situazione. In pochi, pochissimi l’hanno sviscerata in questi termini, perché nel mondo d’oggi, che non dà più alle cose il loro vero significato, si è persa totalmente la bussola, e la pavidità regna sovrana. Ecco i penosi risultati di questo disorientamento.

  3. Pio BARTOLOMEO scrive:

    Parole come queste, andrebbero scolpite ed appese davanti all’uscio di casa di ogni bambino…. O forse di ogni adulto, per aiutarci a riacquistare consapevolezza.

  4. Luciana Smargiassi scrive:

    Bello il suo commento lo co divido pienamente. Anche io sono molto preoccupata per la deriva cui sta precipitando la nostra società. Mi chiedo però dove sono i maestri e le guide che possano accompagnare il cambiamento dei nostri ragazzi. Sono tempi tristissimi e una delle cause è l’eccessiva secolarizzazione della nostra società. Senza valori né prospettive. Hic et nunc.

    • Gianpaolo Mazzuccato scrive:

      Brava, signora Smargiassi. Secolarizzazione è la parola giusta. Ma vedrà: ci sarà qualcuno che opererà una certa suddivisione, se così possiamo chiamarla, e questo qualcuno non è nessuno dei sette miliardi di abitanti del pianeta Terra.

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