Parlamento-voto-per-Quirinale

“Come ha fatto con la minoranza del suo partito sul Jobs Act. Renzi avrebbe ottenuto lo stesso risultato – dice un grande elettore del centrodestra confidando le analisi rimestate nel Transatlantico – dialogando con loro e invece li ha umiliati”.
Dopo la prima chiama, fumata nera come sarà la seconda e pure la terza, del voto sul Quirinale gli azzurri masticano amaro. Il Cav è su tutte le furie, si sente tradito dal premier. Amato, era il suo nome. Arrivo a dirti pure Veltroni. Ma Mattarella no. Sperava in un po’ di melina, una giornata interlocutoria che portasse a scegliere, insieme, un altro nome. Invece, Renzi resta se stesso. Tira dritto, asfalta l’avversario quando può senza guardarsi indietro. L’unico nome del Pd è Sergio Mattarella.
Al conclave di Forza Italia, Michele Iorio – ex governatore e grande elettore del Molise – partecipa convinto di una scelta che lui sollecitava da tempo. Gli azzurri faranno un’opposizione dura al governo Renzi da ora in poi. Su Facebook Iorio sintetizza: “In diretta dalla Camera dei Deputati per l’elezione del Presidente della Repubblica. Prendiamo atto che è definitivamente ‘affondato’ il Patto del Nazareno. Inizia una nuova fase”.
Al telefono, mentre rientra da Roma a Isernia, spiega che, in base alle indicazioni del Cav, Forza Italia passa ad una netta opposizione sulla legge elettorale e sulle riforme. Per ora Ncd non rompe il patto di governo, ma insieme a FI voterà scheda bianca anche alla quarta votazione. Confidando, magari, in un colpaccio dei franchi tiratori del centrosinistra.

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(a sinistra l’ex governatore Iorio, al centro di spalle il ministro Boschi)

La sindrome dei 101. È questa, la paura dei franchi tiratori interni al Pd, che ha convinto Renzi a tenere duro sulla scheda bianca anche ora che il nome c’è e che tutti gli hanno detto sì. Contarsi, nei lunghi scrutini per il Quirinale, è pericoloso. Meglio scoprirsi solo quando si può portare a casa la partita. “Ho molto apprezzato il lavoro fatto per una ‘grande scelta’. Ci assumiamo la responsabilità di indicare il Capo dello Stato, perché siamo il partito più grande del Paese, e se bruciamo questo nome non ne faremo altri” commenta Domenico Di Nunzio a consuntivo del suo esordio da grande elettore. Renziano della prima ora, il consigliere regionale dem condivide anche nel merito la scelta di Mattarella: “Ha un grande spessore umano e politico, è un costituzionalista e dunque conosce le istituzioni. Tutte qualità ottimali per il ruolo a cui, spero, lo stiamo per eleggere”.
Francesco Totaro, capogruppo del Pd a Palazzo Moffa racconta un’atmosfera molto più distesa rispetto a quella che visse nel 2013. Anche senza il Cav, si dice convinto, il Pd ha i numeri per portare Mattarella al Colle. Circolano anche, questi numeri: 588, 590 alla quarta votazione. Sabato mattina ne basteranno 505, dunque pure calcolando un tasso fisiologico di ‘comodo dissenso’ coperto dal segreto dell’urna, l’ex ministro dovrebbe prendere il posto di Giorgio Napolitano. Che, alla prima chiama, entra in Aula ed è applauditissimo. Abbracci e chiacchiere con i più vicini, vota coi senatori a vita, dunque ad inizio seduta. Poi ai cronisti consegna il suo endorsement: “Persona di assoluta lealtà, correttezza, coerenza democratica e alta sensibilità costituzionale”. Qualità che rimarca anche Totaro: “Un nome autorevole, conosce la politica e le istituzioni. Se eletto, sarà un ottimo Presidente della Repubblica. Spero che la platea del consenso per lui riesca ad ampliarsi”. Fuori gioco Forza Italia ed Ncd ‘costretta’ nel governo ma con un occhio attento alle regionali che impongono, la sinistra del Pd – che con il ticket post Dc Renzi-Mattarella sembra all’angolo – è destinata a rientrare prepotentemente in partita sulle riforme. Il Cav non farà più da stampella, gli ex Ds torneranno centrali per l’azione di governo.
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Il deputato di Area riformista Danilo Leva tiene il fronte e sottolinea a più riprese: “Ci siamo, con Mattarella convintamente”. È “una personalità forte, all’altezza della nostra Costituzione di cui si farà garante. Il percorso seguito dal segretario Renzi nel proporre la sua candidatura al Quirinale è positivo – evidenzia – perché spetta a noi del Pd mettere in campo un’ipotesi per eleggere il Capo dello Stato”.

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Il senatore Roberto Ruta condivide e sottoscrive il giudizio di Napolitano e la scelta del premier “sia per la persona indicata, sia perché ha privilegiato l’unità del Pd e delle forze riformiste come bene da tutelare e non da sacrificare sull’altare dell’intesa ad ogni costo con Berlusconi. Mi auguro che stante il profilo alto della candidatura avanzata il Parlamento garantisca a Sergio Mattarella un consenso molto ampio. Ricordo quando non ancora ventenne andavo, con altri pochi amici, a Chianciano Terme, all’incontro annuale della ‘Sinistra di Base’ della Dc, il mondo dei cattolici democratici impegnati in politica guidati e formati dalle idee e dai valori testimoniati da persone come Martinazzoli, Andreatta, Bodrato e Sergio Mattarella, al quale pochi anni prima la mafia aveva ucciso il fratello Piersanti. Quindici anni dopo – ripercorre Ruta – eletto deputato, ho conosciuto personalmente Sergio Mattarella apprezzando il suo tratto semplice, amabile, schivo ed insieme la sua cultura istituzionale, il suo avanzare con la schiena dritta, il suo saper dire no come quando si dimise da ministro perché in dissenso dal proprio partito per la fiducia posta per approvare la legge Mammì”.
Laura Venittelli, rossa e renzianissima deputata termolese, anche in questo caso sta col capo. “Un profilo familiare, un uomo con la schiena dritta” sintetizza il suo placet convinto su Mattarella. Risponde al telefono, poi intercetta un collega del Nuovo centrodestra con cui deve parlare. Chiede scusa e chiude la comunicazione. Richiama pochi minuti dopo. Lo ha convinto a votare Mattarella? “Non ancora, ma sto usando argomenti dirimenti, che possono convincerlo” afferma ‘tosta’. “O quanto meno scalfire il no d’ordinanza”. Instillare il dubbio. Lì, nel chiuso del catafalco, il dubbio può fare miracoli.

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