Non solo il taglio alle indennità di consiglieri, assessori e presidenti delle Regioni che – se vince il Sì al referendum costituzionale – saranno ridotte allo stipendio del sindaco di Campobasso (circa 4.500 euro al mese). Nelle disposizioni finali del ddl Boschi, pubblicato a metà aprile in Gazzetta ufficiale, c’è anche l’azzeramento dei contributi ai gruppi consiliari.

Così sembra leggendo il comma 2 dell’articolo 40: “Non possono essere corrisposti rimborsi o analoghi trasferimenti monetari recanti oneri a carico della finanza pubblica in favore dei gruppi politici presenti nei Consigli regionali”. Poco noto, un po’ imboscato, il provvedimento è uno dei motivi per cui la politica regionale tendenzialmente non impazzisce per la riforma Renzi-Boschi. Specularmente, è una delle ragioni per cui alcuni ‘indignati’ molisani hanno sposato la causa del premier e del suo ministro delle Riforme. Domenica, infatti, erano al banchetto del Pd per raccogliere le firme e nel ‘manifesto’ preparato avevano indicato il taglio delle laute indennità e l’abolizione del finanziamento ai 15 gruppi che attualmente sono presenti a Palazzo D’Aimmo.

Solo qualche anno fa il Molise finì nei titoli del Tg1 per i fondi elargiti ai gruppi. Oltre due milioni di euro all’anno. Poi il governo Monti e i suoi decreti che hanno imposto austerità alle caste locali. Il contributo ai gruppi dell’Assise di via IV Novembre ora ammonta a circa un milione di euro l’anno. In media 3.700 euro a consigliere ogni mese e 5mila euro annui per ogni gruppo.

I presidenti dei Consigli regionali hanno già affrontato la questione e, conferma il capo dell’Assemblea legislativa molisana Vincenzo Cotugno, ne parleranno in plenaria il 9 giugno. L’obiettivo è assumere una posizione comune. Se gli assessori e i presidenti di commissione hanno una segreteria, ai consiglieri semplici senza i dipendenti dei gruppi sarebbe precluso lo svolgimento di attività politica, è una delle osservazioni delle Regioni. E il problema non è di prospettiva. Perché le disposizioni che riguardano le indennità degli eletti nelle Regioni e i gruppi consiliari sono “di immediata applicazione”, precisa l’articolo 41 del ddl Boschi. Mentre quelle sul nuovo Senato, dunque tutte le modifiche relative al bicameralismo, si applicheranno a partire dalla prossima legislatura.

Questo significa che se passa la riforma i dipendenti dei gruppi dovranno essere licenziati? Qualcuno propende per il Sì, e sono i consiglieri di via IV Novembre orientati a votare No al referendum. Altri ci vanno più cauti. Qualche Regione avrebbe trovato già strade alternative, tipo assumere i dipendenti dei gruppi in organico all’amministrazione. Soluzione che in Molise – insegna l’esperienza dei tanti tentativi fin qui falliti – non avrebbe grandi fortune.

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