Sono sempre meno le possibilità che lo ius soli veda la luce prima della fine della legislatura.
Anzi, per molti le speranze di una sua approvazione sono ridotte al lumicino.
Il Pd ha deciso di non chiedere la calendarizzazione del testo al Senato perché, ammette il capogruppo Luigi Zanda, «ora la maggioranza non c’è».
Ma non è solo la contrarietà di Ap a bloccare il Pd: il governo non vuole rischiare di turbare i già fragili equilibri della maggioranza prima dell’approvazione, a fine mese, del Def che richiede, includendo la nota di variazione di bilancio, un voto a maggioranza assoluta.
Il nuovo stop, nell’aria da giorni, è stato deciso nella conferenza dei capigruppo, la prima dopo la pausa estiva.
Nonostante l’insistenza della sinistra, il Pd ha deciso di non portare al voto dell’aula lo ius soli, già rinviato a luglio davanti alla levata di scudi dei centristi
Ma cosa è lo ius soli e come attualmente l’Italia garantisce la cittadinanza ai cittadini stranieri?
L’ultima legge, introdotta nel 1992, prevede un’unica modalità di acquisizione chiamata ius sanguinis (diritto di sangue): un bambino è italiano se almeno uno dei genitori è italiano.
Un bambino nato da genitori stranieri, anche se partorito sul territorio italiano, può chiedere la cittadinanza solo dopo aver compiuto 18 anni e se fino a quel momento abbia risieduto in Italia legalmente e ininterrottamente.
Questa legge è da tempo considerata carente. Da qui nasce il provvedimento all’attenzione del Parlamento. La legge in esame introduce soprattutto due nuovi criteri per ottenere la cittadinanza prima dei 18 anni: si chiamano ius soli (diritto legato al territorio) temperato e ius culturae (diritto legato all’istruzione).
Lo ius soli puro prevede che chi nasce nel territorio di un certo Stato ottenga automaticamente la cittadinanza: ad oggi è valido ad esempio negli Stati Uniti, ma non è previsto in nessuno Stato dell’Unione Europea. Lo ius soli ‘temperato’ presente nella legge presentata al Senato prevede invece che un bambino nato in Italia diventi automaticamente italiano se almeno uno dei due genitori si trova legalmente in Italia da almeno 5 anni.
Se il genitore in possesso di permesso di soggiorno non proviene dall’Unione Europea, deve aderire ad altri tre parametri: deve avere un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale; deve disporre di un alloggio che risponda ai requisiti di idoneità previsti dalla legge; deve superare un test di conoscenza della lingua italiana.
L’altra strada per ottenere la cittadinanza è quella del cosiddetto ius culturae e passa attraverso il sistema scolastico italiano. Potranno chiedere la cittadinanza italiana i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni che abbiano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato almeno un ciclo scolastico (cioè le scuole elementari o medie). E ancora: i ragazzi nati all’estero ma che arrivano in Italia fra i 12 e i 18 anni potranno ottenere la cittadinanza dopo aver abitato in Italia per almeno sei anni e avere superato un ciclo scolastico.
Al momento in Italia ci sono circa 1 milione e 65mila minori stranieri. Moltissimi di questi ragazzi sono figli di genitori da tempo residenti in Italia oppure hanno già frequentato almeno un ciclo scolastico. Il problema dunque c’è e andrebbe affrontato. Anche se lo ius soli – bene ribadirlo – non trova applicazione in nessuno Stato dell’Unione Europea. Argomento sulla bocca di tutti anche se, salvo qualche eccezione, c’è molta disinformazione e sono in tanti ad avere le idee confuse.
I campobassani ai quali abbiamo chiesto se sono d’accordo o meno con l’approvazione dello ius soli si dividono equamente tra favorevoli e contrari. Per un distinto signore del capoluogo quella posta sembra una domanda retorica «perché – spiega – è assurdo pensare il contrario. È un problema che esiste in tutto il mondo e riguarda il presente e soprattutto il futuro del pianeta. Per questo – conclude – sono convinto che il provvedimento andrebbe approvato».
Favorevole allo ius soli è anche un altro campobassano: «Vedersi riconosciuta la cittadinanza alla nascita permetterebbe un migliore e più facile inserimento del piccolo a scuola e con gli altri bambini».
Ma c’è anche chi vede nella prole del migrante un potenziale pericolo: «Vengono da noi solo per comandare – l’opinione di un signore di mezza età -, non c’è posto per i nostri ragazzi, figurarsi per i figli dei migranti».
Altri la pensano come lui ma spesso l’opinione è figlia di poca informazione.

ppm

3 Commenti

  1. Arianna Di Biase scrive:

    Poche idee e confuse. Si ama solo riempirsi la bocca di parole che, poiché abusate, si sono svuotate di significato. Tra queste c’è “accoglienza”. I controlli già latitano in un regime di non cittadinanza, figuriamoci in uno di cittadinanza piena! Non è sufficiente essere nati in un posto per averne la cittadinanza: bisogna abbracciarne la cultura, le tradizioni, il modo di vivere. Altrimenti si è solo di passaggio.

  2. Simonetta Mori Dall'Oglio scrive:

    Ci auguriamo che non ci sia mai, questa maggioranza. Il discorso sarebbe troppo complesso da trattare in questa sede.

  3. Giandomenico Cacciapuoti scrive:

    E meno male!! Spero vivamente che questa maggioranza non ci sia mai. Non basta essere nati in Italia o avervi frequentato le scuole elementari per esserne cittadino, ma stiamo scherzando? Abbiamo già da fronteggiare i grossi problemi creati dai flussi migratori indiscriminati, se dobbiamo metterci a pensare di regalare cittadinanze, con il serio rischio di essere soppiantati da chi la cultura italiana non l’ha proprio sposata, allora e’ meglio che ci facciamo curare da un bravo psicoterapeuta!

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