Il via libera definitivo a notte fonda, quasi all’alba. Il Molise ha la sua legge elettorale. La prima votata dalla sua Assemblea legislativa.
Archiviata la norma nazionale, risalente al 1968 e modificata nel 1995 per consentire l’elezione diretta dei presidenti (il cosiddetto Tatarellum). Le opposizioni gridano, o sussurrano, al rischio incostituzionalità. La maggioranza che l’ha approvata tira dritto. Come ha tirato dritto per l’intera giornata di lunedì e poi fino alle quattro circa di martedì.
«Finalmente! I cittadini molisani – il commento del governatore Paolo Frattura – hanno uno strumento per scegliere i propri rappresentanti regionali. Ringrazio il presidente Niro e gli altri firmatari della legge Di Pietro e Sabusco, il presidente della Prima commissione Domenico Di Nunzio e i suoi commissari, i Servizi regionali coinvolti e soprattutto l’intera Aula per il dibattito vissuto che ci ha portato all’approvazione di una legge tanto importante. È un risultato che si deve, al di là delle distinte e distanti posizioni registrate, all’impegno di tutte le forze politiche presenti in questa Assemblea. È giusto sottolineare – ancora Frattura – che finalmente abbiamo dato una legge elettorale al nostro Molise con la quale garantire e certificare la rappresentanza per tutti i nostri cittadini. Il nuovo testo potrà essere applicato già tra qualche mese, quando saremo chiamati a rinnovare questo nostro Consiglio regionale, anche per verificare la contestualità rispetto alle aspettative di rappresentanza dei molisani».
L’impianto, risultante dall’unificazione di quattro testi (Niro-Di Pietro-Sabusco, Cotugno, M5S e Scarabeo-Totaro-Lattanzio), è principalmente il ddl di cui è primo firmatario l’ex presidente del Consiglio regionale con aggiustamenti che lo hanno reso il progetto che aveva maggiori consensi in maggioranza e poi in Aula.
Le principali novità sono: l’individuazione del collegio unico regionale e quindi il superamento delle attuali due circoscrizioni provinciali; l’eliminazione del listino maggioritario e l’attribuzione di un premio di maggioranza alla coalizione il cui candidato presidente ha ottenuto più voti; alle sue liste, cioè, viene assegnato almeno il 60% dei seggi del Consiglio (20 perché non viene computato quello spettante al presidente eletto) e in ogni caso non più del 65%. Il testo, inoltre, prevede: l’eliminazione della possibilità di votare il candidato presidente di uno schieramento e il componente di una lista di un’altra coalizione o comunque non a lui collegata; lo sbarramento per accedere all’attribuzione dei seggi pari al 10% per le coalizioni e al 3% per le liste ammesse dei candidati consiglieri; la garanzia della rappresentanza di genere, uomini o donne cioè non possono superare il 60% dei candidati di una lista; l’incompatibilità tra la carica di consigliere regionale e assessore (che viene sostituito dal primo dei non eletti della sua lista finché resta in giunta); la possibilità di esprimere due voti di preferenza diversificati per generi; l’esenzione dalla raccolta delle firme per la presentazione delle liste di candidati consiglieri regionali per quei movimenti o partiti politici rappresentati in uno dei due rami del Parlamento italiano o nel Parlamento europeo, ovvero per coloro i quali hanno già avuto eletti nell’attuale assemblea regionale; l’individuazione delle particolari condizioni di ineleggibilità e incompatibilità per l’elezione a consigliere e presidente della giunta.
Su quest’ultimo punto, un blitz notturno si è consumato. Se fino a qualche giorno fa in maggioranza era forte la pressione per introdurre l’ineleggibilità dei sindaci dei Comuni superiori a 3mila abitanti (in pole per la candidatura ci sono tra gli altri la sindaca di Riccia Fanelli e il suo collega di Montenero di Bisaccia Travaglini), ma poi l’emendamento non è stato presentato, lo stop invece è stato inserito per amministratori e manager (o commissari) di enti, aziende, agenzie, fondazioni dipendenti o controllati dalla Regione e per i vertici degli enti del servizio sanitario (Asrem, distretti, ospedali, policlinici). La norma nazionale per queste figure prevede l’incompatibilità, con l’emendamento presentato da Niro diventano ineleggibili. Vuol dire che se hanno intenzione di candidarsi utilmente a Palazzo D’Aimmo dovranno lasciare l’incarico tre mesi prima delle elezioni. In sede di prima applicazione (quindi stavolta), un mese prima, vale a dire entro il giorno prima della presentazione delle liste.
Una riflessione che potrebbe riguardare, fra gli altri, l’amministratore di Molise Dati Maurizio Cacciavillani e il direttore del distretto socio-sanitario di Isernia Lucio De Bernardo. La norma vale per tutti, ma per alcuni è più concreta perché, secondo i rumors per esempio Cacciavillani e De Bernardo stanno pensando a un approdo o un ritorno (nel caso del secondo) in via IV Novembre.
È uno degli effetti della riforma. Un ‘micro’ effetto. Quello macro è il dover riorganizzare strategia e rete di consenso. Il collegio da marzo (o da quando si tornerà alle urne per le regionali) sarà unico. L’Aula ha respinto la proposta dei 3 collegi (7 a 13) e, sul filo di lana, quella delle due circoscrizioni (9 a 11) sostenuta, fra gli altri, dal presidente del Consiglio Vincenzo Cotugno soprattutto a tutela del territorio di Isernia. La maggioranza ha portato avanti con decisione un altro orientamento. Come l’Umbria – che ha tre volte gli abitanti del Molise – anche la XX Regione ha un solo collegio elettorale.
Contrario a questa legge il capogruppo Mdp Francesco Totaro. Per lui il collegio unico ridurrà la rappresentanza, mentre aumentano – evidenzia – i costi della politica. Sarà possibile, infatti, nominare fino a 5 assessori. Tutti da sostituire con i primi dei non eletti in Assise: «Un modo arcaico per garantirsi governabilità e fedeltà».

ritai

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.