Lasciatelo lavorare. Con un po’ di ironia, si potrebbe sintetizzare così. In mezzo ai dossier economici e finanziari, Donato Toma è nel suo elemento. Le frizioni in maggioranza, le strategie, il dire una cosa per intenderne un’altra, le guerre per un posto in giunta e poi il ripensamento: il gioco della politica, insomma, non è il suo elemento.
Quindi, il neo governatore del Molise torna da Roma, a Palazzo Vitale lavora allo stanziamento dei fondi per Comuni e Province. Ha già promulgato le modifiche statutarie che gli permetterebbero di nominare oggi cinque assessori e il sottosegretario. Ha pure già risposto a telefonate infuocate. Qualche leader nazionale si è fatto sentire. La Meloni, pare. «Mi prendo gli strali dei partiti nazionali? E sia… io spero di non prendere gli strali del popolo!».
Nel suo pomeriggio succede qualcosa, che non era previsto. Aida Romagnuolo gli comunica, mettendolo per iscritto, di voler concorrere nella ‘sfida’ per il vertice del Consiglio regionale lunedì. Lunedì ci si era lasciati che andasse all’Udc e invece la Lega era in giunta con Romagnuolo risolvendo la questione quote rosa (ma aprendo a telefonate di fuoco pure di Salvini probabilmente che, continua a circolare la voce, ufficialmente avrebbe chiesto a Toma di nominare in squadra Mazzuto). Invece, la prima eletta del Carroccio fa un passo indietro o comunque chiede di sospendere la nomina ad assessore. Toma ci riflette: la giunta slitterebbe a martedì, mercoledì. E decide che no. Che basta aspettare. Firma il decreto, quattro assessori per ora: Nicola Cavaliere, Roberto Di Baggio, Vincenzo Cotugno e Vincenzo Niro. In stand-by la quinta casella e il sottosegretariato.
Restano le frizioni, lo sa bene. Due assessori a Forza Italia e nessuno a Fratelli d’Italia che accampa un accordo nazionale in virtù del quale l’uomo di Meloni dovrebbe entrare in giunta e fare il vice presidente? «Io non conoscevo questo accordo né vi ho partecipato. È un’intesa fra i partiti e credo si tratti di considerazioni che i partiti avrebbero dovuto fare fra di loro. Pare che le altre forze lo abbiano disconosciuto. Comunque io sono super partes e dico: ragionate fra voi». Accordo in occasione delle politiche, Toma era di là da venire nei pensieri del centrodestra molisano. L’estraneità alla discussione e all’intesa è oggettiva.
Come è arrivato alla definizione della squadra di governo lo spiegherà in una conferenza stampa. Ora sintetizza: «Il criterio è stato la volontà popolare. E ho guardato ai partiti, perché la nostra è una coalizione di partiti e non di singoli. Gli eletti, peraltro, beneficiano anche del quorum della lista, no? Individuati i partiti, ho attuato il metodo d’Hondt (sistema di attribuzione dei seggi, utilizzato tra le altre dalla legge elettorale del Friuli, ndr). In base al quale a Forza Italia toccano due assessori, agli altri uno». Un metodo basato sui numeri, precisa, e non sulla qualità delle persone in gioco. Ragionare sulle competenze avrebbe richiesto più tempo e maggiore delicatezza. Oppure si finiva agli assessori esterni.
Restano alcune ‘spie’ del malessere. Questa mossa inaspettata di Romagnuolo, con la Lega ancora sotto i riflettori. E Fratelli d’Italia. Toma non discute la legittimità delle intese, ma per lui la rappresentatività vale forse di più.
Dopo l’elezione del presidente del Consiglio – con la partita che si riapre a sorpresa – il completamento dell’esecutivo con il quinto assessore. Una donna? Sarebbe meglio, la previsione statutaria sulla parità, per quanto non stringente, c’è. E poi le deleghe. Le più pesanti sono contese. L’Agricoltura, per esempio, da Cavaliere e Cotugno. E i Lavori pubblici da Niro e Cavaliere (se perde l’Agricoltura).
Sulle deleghe anche Toma rallenta. «Richiederanno una attenta valutazione, pensiamo di prenderci un po’ di tempo. Io ho delle idee e ci sono dei desiderata. Vedremo come trovare un equilibrio». ritai

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