Il primo a provarci, destino beffardo, fu il governo Monti. Un decreto anti casta, del governo più bersagliato dai depositari del marchio anti casta vale a dire i grillini, dalle premesse ambiziose. Sull’onda dell’indignazione per gli scandali per l’utilizzo dei fondi dei gruppi regionali, il provvedimento prevedeva addirittura il commissariamento e lo stop ai trasferimenti nazionali per le Regioni che non si adeguavano alla nuova consegna dell’austerity. Fra le misure contenute nel decreto, l’eliminazione dei vitalizi.
Poi venne la ‘tentata legge Richetti’ del Pd. Che sanciva il taglio dei vitalizi agli ex parlamentari e agli ex consiglieri regionali. Non fu approvata.
A ridurre gli assegni degli ex deputati è stata la decisione dell’ufficio di presidenza della Camera guidato dal 5 Stelle Roberto Fico: il taglio vale a partire dal 1 gennaio 2019. In 700 hanno fatto ricorso, ma i pentastellati tirano dritto. Anzi, anche le resistenze del Senato sono vinte e dalla prossima settimana – ha annunciato ieri la senatrice 5s Laura Bottici (questore di Palazzo Madama) – «approviamo la delibera per tagliare i vitalizi anche al Senato, dopo averlo fatto alla Camera».
La nuova frontiera, però, è rappresentata anche stavolta dalle Regioni. Adesso tocca a loro, ha detto il vicepremier Luigi Di Maio, tagliarli agli ex presidenti, assessori e consiglieri: «Non sbloccheremo fondi a Regioni che continueranno a pagarli. La settimana prossima il Senato abolirà i vitalizi e le Regioni devono mettersi in testa che se non li aboliscono anche loro noi non sbloccheremo i fondi». E ha spiegato il percorso: «In legge di bilancio ci sarà una norma che dice alle Regioni che se non aboliscono i vitalizi, la quota parte di soldi che spendono per i vitalizi non la trasferiamo più dallo Stato centrale. Questo meccanismo è replicabile in tanti altri strumenti, al netto delle autonomie regionali garantite dal Titolo V della Costituzione, che non vogliamo cambiare per non infilarci in riforme monstre. Useremo la leva dei trasferimenti anche per i rifiuti».
Aboliti nel 2011 dal Consiglio regionale del Molise, i vitalizi sono sopravvissuti quasi intatti per chi li aveva già maturati a quella data (sia chi li percepisce già sia chi li percepirà in futuro). Quindi, i presidenti, assessori e consiglieri che a Palazzo D’Aimmo sono entrati dal 2011 in poi possono fare affidamento sul sistema contributivo (con criteri che però non rendono comunque le loro future pensioni come quelli degli italiani comuni). Chi siede nel parlamentino regionale è assoggettato al versamento dei contributi previdenziali come accade per ogni lavoratore del Paese. Parte degli oneri li versa il “datore di lavoro”, quindi il Consiglio, parte il consigliere. Ma i compensi mensilmente percepiti sono elevati rispetto all’operaio – tanto per fare un esempio – della Fiat, le somme messe da parte in cinque anni, al momento della pensione daranno un bell’apporto all’importo percepito.
Comunque chi nel 2011 aveva trascorso già qualche anno nell’Assemblea legislativa, seppure ancora giovane, quando arriverà a 60 anni (rinunciando a un pezzo non significativo, già a partire da 55) avrà sempre a disposizione il gruzzolo a carico della Regione (quindi dei contribuenti molisani) da richiedere. Tra i giovani, l’ex deputato Danilo Leva, l’avvocato Massimo Romano, l’ex sottosegretario Sabrina De Camillis, l’ex senatore Roberto Ruta.
Cumulabili con un’altra pensione, con un altro vitalizio (da ex parlamentare per esempio), con uno stipendio: finora ai vitalizi in corso di erogazione da parte della Regione è stata applicata solo una decurtazione temporanea, per un paio d’anni. Ma stavolta il rischio che siano tagliati – o meglio Di Maio ha parlato di abrogazione (ma i vitalizi delle Regioni sono stati istituiti a immagine e somiglianza di quelli parlamentari) – è più concreto.
In pagina riproponiamo l’elenco aggiornato con le ultime determine del Consiglio regionale. Sono 83 i titolari di pensione d’oro: nomi ancora noti o invece tornati nel dimenticatoio. Politici di professione o professionisti che dalla politica si sono fatti tentare. Dal novero sono usciti, perché attualmente eletti a Palazzo D’Aimmo, l’ex governatore Michele Iorio e Quintino Pallante, che quindi non percepiscono l’assegno attualmente. Le new entry, dopo la fine della XI legislatura sono Angiolina Fusco Perrella e Pierpaolo Nagni. La prima, che è stata assessore e presidente del Consiglio regionale, è titolare di un assegno top (il vitalizio è calcolato in base agli anni in cui si è stati in via IV Novembre): 5.495,76 euro. Nagni, che ha chiesto l’assegno a 56 anni, percepisce 2.267,49 euro al mese. Da luglio, inoltre, tra i pensionati di Palazzo D’Aimmo c’è pure il dirigente regionale Riccardo Tamburro: 57 anni, 2.393,08 l’importo erogato. Infine, è storia (e polemica social) di questi giorni, l’ex assessore di Rifondazione comunista Italo Di Sabato che, compiuti da poco 55 anni, ha chiesto l’assegno: 3.072, 78 euro.
Gli importi sono lordi, sui conti correnti degli interessati arriva qualche euro in meno rispetto alle cifre dell’elenco. Ma il costo per la Regione, invece, è proprio quello che si legge nella tabella: 280mila euro al mese (279.943), moltiplicati per 12 mesi diventano 3,3 milioni.
r.i.

2 Commenti

  1. Michele Rocco scrive:

    Con lo stesso sistema occorre anche tagliare i lauti stipendi degli amministratori

  2. di lisa giuseppe scrive:

    bravi

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