«Pur coscienti del percorso che avrà il Decreto sicurezza e immigrazione e dei tavoli di trattativa che ci sono stati sul tema in fase di elaborazione, riteniamo che il testo che arriverà alla Camera abbia molte criticità che si rifletteranno pesantemente sulla vita dei cittadini. Un testo che non trova, in molte sue parti, presenza nel Contratto di Governo ed è, in parte, in contraddizione col programma elettorale del Movimento 5 Stelle».
Sono 19 le firme in calce alla lettera che alcuni deputati pentastellati hanno inviato al capogruppo Francesco D’Uva, ai capi area e ai capigruppo di commissione. Tra loro, lo rivela l’Adnkronos, anche il molisano Antonio Federico. Questo l’elenco dei ‘dissidenti’ alla Camera: Barzotti, Bruno, Cappellani, D’Ippolito, Deiana, Di Lauro, Ehm, Federico, Giannone, Giordano, Iovino, Ricciardi, Sarli, Siragusa, Sportiello, Suriano, Termini, Traversi, Vizzini.
Rischiadi aprirsi un nuovo fronte dopo le tensioni al Senato dove cinque esponenti M5S (De Falco, Nugnes, Fattori, La Mura e Mantero) non hanno partecipato al voto di fiducia sul provvedimento e sono finiti sotto la lente del collegio dei probiviri.
«Siamo perfettamente a conoscenza di come questo decreto sia essenziale per la Lega e non è nostra intenzione complicare i già delicati equilibri di governo; non per questo però – sottolineano i 19 deputati ribelli – riteniamo di non dover esercitare il nostro diritto di parlamentari». Da Caserta, il vicepremier Di Maio ha risposto: «Auspichiamo che il decreto sicurezza venga approvato alla Camera senza altre modifiche, il governo vuole portare a casa il Decreto sicurezza. Adesso si va avanti»,
E questa risposta, dal tenore della lettera, i ribelli se l’aspettavano. Non di meno hanno rilevato «una carenza di discussione interna che in molte sedi, anche ufficiali, tanti di noi hanno espresso». Al capogruppo hanno sottoposto otto emendamenti che «non renderebbero il decreto ottimale ma migliorerebbero sostanzialmente alcune parti davvero critiche. Sappiamo che questo iter di condivisione interna possa non essere canonico e che la firma su un emendamento dovrebbe essere il passo conclusivo di un percorso: tale percorso però non c’è mai stato e la responsabilità non è certo dei singoli deputati e deputate».

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