Un giallo. L’ennesimo scontro. O una figuraccia. Senza commissario da sette mesi, la sanità molisana ieri è stata vicinissima alla nomina. Addirittura è stato convocato il presidente Toma, che pur non essendo in gioco va comunque ascoltato. Ma poi un’altra seduta a vuoto.
Intanto, però, il Senato ha approvato la legge di conversione del decreto Fisco che reintroduce l’incompatibilità fra la carica di governatore e quella di commissario. Passa alla Camera da dove uscirà probabilmente senza modifiche, tempo pochi altri giorni e lo stop ai presidenti sarà legge. A quel punto, sono convinti tutti, il Consiglio dei ministri procederà.
Ma allora perché il passo falso di ieri? La successione di avvenimenti è quasi una fiction. Donato Toma è a Roma per la riunione della commissione Salute della Conferenza delle Regioni e altri vertici istituzionali. Nella prima mattinata si sente col sottosegretario Giorgetti, fra le altre cose quindi l’esponente leghista registra che il governatore del Molise è a Roma. È più o meno ora di pranzo quando Toma (o la sua segreteria) viene raggiunto da un telegramma urgente del sottosegretario alla presidenza: è convocato in Cdm per la nomina del commissario ad acta. Lui si precipita. Dalle 13 alle 15.30 è a Palazzo Chigi. Incrocia i ministri Stefani e Tria, poi il vicepremier Salvini che va di corsa e gli dice qualcosa ma sempre di fretta. Alla fine «che la nomina era stata rinviata me l’ha detto la ministra Stefani. Sono stato accolto bene e in buona compagnia, ma sono stato due ore impalato come un baccalà».
Cosa è accaduto? Secondo Toma Tria era perplesso perché non c’è copertura normativa chiara e certa per nominare un commissario esterno in Molise, «se l’avessero fatta sarebbe stata facilmente invalidabile». Lui resta sulle sue posizioni. «Dal capo di gabinetto della ministra della Salute a Greco (il capogruppo 5s in Consiglio regionale, ndr): mi chiedono sempre la stessa cosa, se ho un nome. Io – ribadisce Toma – non farò nomi. Se fossi ostaggio di lobby, come dicono i five stars e sto citando il consigliere del Pd Facciolla, sarei in grado di far passare la scelta di queste lobby perché mi è stata data massima apertura. Anche il sottosegretario Giorgetti più volte mi ha detto: condividiamo un nome. Io non esprimo nomi e non concordo perché non ho preferenze né qualcuno che mi suggerisce». Sulle figure che gli sono state sottoposte non svela nulla ma dice: tutte persone perbene. «Fate presto. Fate presto! Io ho fatto tutto quello che potevo, ma qui si sta scherzando con le cose serie», conclude all’indirizzo dell’esecutivo nazionale.
Un altro giorno perso e la componente grillina del governo in particolare non ne esce bene. I 5 Stelle sostengono che ieri in realtà fosse in agenda solo la nomina del commissario della Calabria, che comunque non c’è stata. Perché? Circola una voce: forse anche il presidente Oliverio è stato chiamato all’ultimo minuto e magari lui non era a Roma. Se fosse vero, sarebbe la spiegazione più semplice ma pure la peggiore per il governo Conte.
A Palazzo Madama, invece, la marcia prosegue spedita. E il senatore Luigi Di Marzio liquida il giallo di Palazzo Chigi: il Molise evidentemente non era in agenda. Piuttosto, il primo sigillo ufficiale all’incompatibilità dimostra che «come preannunciato da un pezzo e come fa il Movimento 5 Stelle quando prende un impegno, lo porta a termine. Non c’è stato mai d’altro canto alcun dubbio che potesse essere così, nonostante i tentativi di distorcere i principi a favore di interessi diversi da quelli della collettività».
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