«Il piano del governo per l’edilizia e per il Codice degli appalti così come riportato dai giornali economici non può andare bene, soprattutto laddove si fa carico del salvataggio dei grandi gruppi ma ignora tutta la filiera di fornitori che si portano dietro e che andrebbe inevitabilmente a gambe all’aria».
Marciano Ricci, patron di Europea 92 e sindaco di Montaquila, intervistato dal quotidiano L’Opinione diretto da Arturo Diaconale, stavolta si rivolge direttamente al vicepremier Matteo Salvini, l’unico di cui nel governo Conte abbia fiducia.
Già, perché la locuzione latina origine medievale mors tua vita mea sembra quella più azzeccata a descrivere il modo in cui il governo vorrebbe intervenire per salvare il mondo dell’edilizia dalla crisi che l’attanaglia da tempo. Diverse le soluzioni in campo per evitare il fallimento dei grandi gruppi, mentre nulla si sa del destino che attende la lunga lista di subappaltatori, maestranze, fornitori e professionisti che di fatto permettono ai grandi di portare a termine le opere. Il rischio è che si generi un effetto domino, capace di travolgere centinaia di aziende sane, destinate a saltare per crediti, paradosso tutto italiano. Aziende sane che fallirebbero pur vantando crediti importanti nei confronti di grossi gruppi che non pagano chi ha effettivamente realizzato le infrastrutture.
Si parla con insistenza dell’ipotesi di coinvolgere lo Stato, attraverso Cassa depositi e prestiti. Ma la soluzione rischia di alterare un equilibrio già di per sé precario e non tutelerebbe le tante imprese oneste che con grandi difficoltà resistono alla crisi, pagando i propri fornitori, senza l’aiuto di nessuno.
Lo ha spiegato qualche giorno fa il presidente nazionale dell’Ance Gabriele Buia sul Sole 24 Ore: spesso per salvaguardare la consistenza patrimoniale ed economica dell’azienda in crisi la si smembra in due e si crea una good company e una bad company «con il risultato che mentre nella prima vengono fatte confluire tutte le partite appetibili e i crediti, nell’altra vengono concentrate le sofferenze e i debiti. Di conseguenza la good company diventa appetibile per il mercato, mentre nessuno sarà mai interessato ad acquisire i debiti della bad company». Le «centinaia di aziende» e le «migliaia di lavoratori che consentono, a valle, alle grandi imprese di realizzare i propri interventi» finiranno, in quanto debiti, nella bad company «senza alcuna possibilità di salvarsi» anche perché «subiscono inevitabilmente una pesante restrizione nell’accesso al credito».
È lo scenario possibile per chi vorrebbe un intervento di Cdp per finanziare la nascita di un grande gruppo delle costruzioni, assemblando tutti coloro che sono in difficoltà. Una creatura mostruosa che fa tornare alla mente quanto accaduto con Alitalia e Iri, esperimenti da non ripetere e pagati a caro prezzo dagli italiani.
Il principio in sé va bene: ma se lo Stato vuole intervenire nel salvataggio dei grandi gruppi imprenditoriali, paghi prima i debiti contratti a valle e poi immetta finanza fresca per il rilancio del nuovo soggetto. Proprio quello che l’imprenditore Marciano Ricci suggerisce al ministro Salvini: un salvataggio democratico che coinvolga anche le medie e piccole imprese che attendono i pagamenti dal colosso in crisi. «Se si salvano le grandi imprese – ed è giusto – si devono aiutare però anche le piccole e medie imprese che attendono i pagamenti dal colosso in crisi, altrimenti si fa la solita operazione elitaria e così non va bene…», dice.
Nell’intervista a L’Opinione, poi, conferma che a suo parere sarebbe meglio abrogare il nuovo Codice degli appalti e utilizzare la normativa europea. O meglio, tornare al sistema precedente «con clausola della anomalia. Se un ribasso per l’ente appaltante presenta un’anomalia e l’appaltatore non riesce a ovviarla e a dimostrare di poterla superare, l’appalto passa alla seconda impresa aggiudicataria nella classifica della gara di appalto». In pratica, Salvini dovrebbe sostituirsi a Toninelli. «È quello che tutti noi costruttori auspichiamo. Questo Codice degli appalti è talmente farraginoso che non si può emendare, meglio abolirlo. E non ci devono essere quelle resistenze più o meno moralistiche tipiche dell’altro partito di governo – conclude bacchettando ancora i 5 Stelle – che stanno immobilizzando tutto il Paese».

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