Quando sei al centro del dibattito e ti illumina il fascio di luce dei riflettori, te lo devi aspettare. Che ti si possa criticare, attaccare oppure applaudire. O, anche, che di te si possa ridere.

Al Molise, d’altro canto, è capitato spesso. È accaduto di nuovo. L’eco mediatica e politica della decisione di richiamare in servizio i medici in pensione per sopperire alle carenze di organico ha riportato la XX Regione alla ribalta. La vicenda è finita perfino in uno sketch della squadra de “Il ruggito del coniglio”, programma di punta del mattino di Radio2. Max Paiella ha preso in prestito le note de ‘I maschi’ di Gianna Nannini. «Se… all’improvviso c’hai una colica e non ti alzi più – canta Paiella accompagnato da Attilio Di Giovanni e i ‘Rabbits’ – arriva il medico: lui è un centenario quasi immobile, dice qualcosa ma non si capisce sai». Viene da ridere, è naturale. Anche sui social, agli articoli di questa e altre testate sul Sos lanciato ai ‘riservisti’ la reazione più ‘cliccata’ è l’emoticon della risata. Fisiologico. Se non fosse che da ridere c’è ben poco.

Prima di arrivare a questa che, è del tutto evidente, è l’ultima spiaggia l’azienda sanitaria ne ha provate tante. Forse le ha provate tutte. Innanzitutto, i concorsi per assumere medici a tempo indeterminato. Vanno deserti o quasi. Difficile accedere alle graduatorie di altre Regioni, alle istanze di via Petrella nessuna risposta. Gli specializzandi? Al Molise servono pediatri, ortopedici, chirurghi d’emergenza, anestesisti. Specializzazioni che non sono presenti nel nostro ateneo. Ma non è solo questo il problema.

Numero chiuso nell’accesso alla facoltà di Medicina, numero altrettanto chiuso per le scuole di specializzazione. A disposizione poco meno di 7mila posti. Questo vuol dire che oltre duemila medici laureati ogni anno restano fuori dalla specialistica  perché non c’è capienza. Non ci sono medici che vogliano lavorare in Molise, ma diventa – finalmente sarebbe il caso di dire – sempre più evidente che in Italia non ci sono medici. E quelli che ci sono preferiscono le strutture private, dove hanno contratti e prospettive migliori di carriera (anche per la ricerca e l’innovazione tecnologica).

Tendenzialmente, poi, gli ospedali molisani sono  tra i meno ambiti dai camici bianchi. Per tanti motivi, non ultimo il gap infrastrutturale.

Il governatore Toma qualche mese fa parlò di un’azione di demarketing che ha prodotto l’idea che dal Molise e dalle sue strutture sanitarie è meglio stare lontani. Le cause, le colpe e le motivazioni sono le più diverse. Ma è innegabile che la sua osservazione coglie nel segno: gli anni del piano di rientro, le scelte mancate o fatte a metà, un riordino a lungo rinviato e oggi – 10 anni dopo il commissariamento – ancora non compiuto non hanno fatto bene alla salute e all’immagine della sanità.

Qui, dunque, l’emergenza è più urgente. Ed è paradossale che dopo anni di blocco del turnover, quando alla fine l’Asrem ha ricominciato ad assumere non trovi il capitale umano necessario a garantire l’assistenza e sostenere la riqualificazione dell’offerta che piani operativi e atti aziendali si pongono come obiettivo.

L’autorizzazione del commissario Giustini, i primi avvisi per incarichi libero professionali ai pensionati, le risposte arrivate hanno aperto un dibattito che tutto è fuorché di maniera. I sindacati che si dicono contrari sono contrari. L’azienda sanitaria che ribatte di non avere al momento alternative concrete, da poter utilizzare subito per evitare la chiusura dei reparti, pure afferma una verità.

Il fatto che Veneto e Friuli abbiano compiuto la stessa scelta dimostra che il problema è nazionale e riguarda anche Regioni indicate a riferimento. La Puglia invece ha fatto ricorso ai medici stranieri. Facce della stessa emergenza. Soluzioni tampone. La riserva dei pensionati o degli stranieri non è infinita, né credo nessuno abbia immaginato di ricostruire la sanità molisana con chi nella sua vita ha già dato.

Ci sono altre strade che nel breve periodo possano portare in corsia medici in servizio? Se non ci sono andrebbero ‘costruite’.

Nel medio periodo, invece, l’iniziativa per finanziare borse di studio in specializzazioni di cui gli ospedali molisani hanno bisogno – proposta dai 5 Stelle e condivisa da tutto il Consiglio con l’impegno del presidente della Regione a trovare le risorse necessarie – qualche risultato lo conseguirà. A Roma, inoltre, pare che il governo nazionale si stia ponendo davvero il problema. Dopo anni che, evidentemente, era stato sottovalutato.

Riportare nei reparti chi è in quiescenza, indubbiamente, è sintomo di resa. Ed era inevitabile che, per esempio, Giustini e Toma (nei loro rispettivi ruoli) avessero sul punto idee contrapposte. Il commissario sostiene di aver risolto un problema. Il presidente rivendica il diritto a pianificare i servizi regionali guardando al futuro.

La differenza fra il sintomo di resa e la resa vera sta tutta in una parola magica: programmazione. La pronunciano Dose e Presta durante lo sketch su Radio2: «Ma un po’ di programmazione no?». Quando le cose serie le dicono i comici, è segno che abbiamo un problema, Houston…

Però, ora che davvero tutti hanno preso coscienza che l’emergenza va affrontata perché altrimenti la sanità italiana sarà presto al fallimento, è forse finalmente il momento giusto per agire. La bacchetta magica non esiste, ma è evidente che il ruolo principale in questa partita è quello del ministro della Salute. Tocca a Giulia Grillo e ai colleghi ministri dell’Università e dell’Economia. Tocca al governo del cambiamento. «Ci stiamo mettendo la faccia», ha detto la Grillo negli ultimi giorni commentando la misura molisana sui medici pensionati e assicurando che sta lavorando per aumentare il personale della sanità.

Se lo augurano tutti. I molisani sono spiritosi e all’ennesimo ritratto ironico rispondono sorridendo.

Ma quando si ammalano, si aspettano di trovare medici e infermieri che li possano curare. Perché altrimenti, questa situazione da ironica diventerebbe ridicola.

rita iacobucci

 

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